Commento al Vangelo del 1 Gennaio 2019 – p. Roberto Mela scj

Così benedirete gli israeliti

Scelta splendida quella fatta dalla liturgia di far iniziare al popolo di Dio il nuovo anno civile all’insegna della benedizione del Signore. La Chiesa si pone in continuità con il popolo di Israele nel deserto dove riceve la benedizione sacerdotale di Aronne che protegga il cammino di liberazione dall’Egitto. Nm 1–10 è una sequenza di istruzioni che concludono la rivelazione al Sinai prima della ripresa del cammino.

Al termine di Nm 6 è riportato l’ordine che YHWH impartisce a Mosè affinché trasmetta al fratello sacerdote Aronne le parole precise con le quali benedire il popolo che, nel cammino nel deserto, si sta costruendo come popolo libero, costituito quale proprietà particolare di YHWH, totalmente consacrato a lui come il nazireo di cui si parla in Nm 6,1-21 e come l’altare che viene dedicato a YHWH in Nm 7,10-89.

La benedizione fatta sul popolo non è opera del sacerdote, che è di essa solo un tramite. Chi benedice in effetti è solo YHWH, fonte di ogni bene e salvezza. In un suo recentissimo contributo (in Parola Spirito Vita 78, Benedizione, EDB, Bologna dicembre 2018, 49-72) – che seguiamo da vicino –, l’esegeta Maria Pina Scanu ricorda come la tradizione ebraica trasmetta un bel testo sulla disposizione delle mani che il sacerdote deve osservare durante la benedizione.

Mani «tenute insieme per significare una completa unità di azione, e ancora con le dita separate, tra il pollice e l’indice e tra il medio e l’anulare, come per formare degli spazi attraverso i quali lo sguardo e le effusioni della Shekinah (la presenza divina) fluiscono sulla comunità cultuale». Gli spazi aperti fra le dita alludono a Ct 2,9: «Eccolo, egli sta dietro il nostro muro, guarda attraverso le finestre, osserva attraverso le inferriate. Guarda attraverso le finestre [significa] tra le dita sacerdotali, osserva tra attraverso le inferriate [significa] quando stendono le loro mani. Perciò è detto: Così benedirete» (p. 58). La citazione è tratta dal midrash Bemidbar Rabbah 11,13, Tanḥuma su Nm 6,23, ed., Buber, 32.

Tra le dita del sacerdote fluisce lo sguardo amoroso dell’Amato per la sua Amata.

Il sacerdote è il tramite, ma la benedizione giunge solo da YHWH. Il sacerdote pronuncia una parola performativa che realizza ciò che pronuncia, incanalando in tal modo «la benedizione del Signore verso il suo popolo, di cui essi sono parte. L’invocazione e la trasmissione sacerdotale della benedizione consentono, pertanto, alla comunità di sviluppare la consapevolezza della vicinanza amorosa del Signore, e di rispondere e crescere come il popolo che gli appartiene, il popolo dell’alleanza… l’altro aspetto rilevante preposto dall’immagine è che la benedizione dipende ed è una questione di amore, nella reciproca ricerca amorosa tra il Signore, l’Amato, e il suo popolo, la sposa».

Benedizione e custodia

Il verbo “benedire/brk” (alla coniugazione intensiva piel), con Dio soggetto, esprime il potere della crescita di vita, l’impulso alla prosperità, alla fecondità, all’abbondanza di beni materiali e di relazioni sociali costruttive, senza violenza né prevaricazioni. La benedizione di YHWH tocca ogni sfera dell’esistenza sociale e personale, colmandola di potenza di vita.

La benedizione che Aronne e i suoi figli dovranno impartire agli israeliti ha un andamento bilanciato: tre versetti con sei emistichi, sempre più lunghi, con un contenuto espresso tramite un parallelismo sintetico, o clima(c)tico, nel quale l’ultima espressione costituisce l’apice che riassume e porta a perfezione ciò che è detto in precedenza.

La benedizione è sempre un dono personale, che ha come destinatario un “tu” individuale che conserva la propria particolarità e dignità singolare all’interno però di un “tu” rappresentato dal popolo nel suo insieme, che custodisce e fa crescere il singolo tramite le sue relazioni familiari e sociali improntate alla bontà e alla fedeltà. Il suffisso di 2a persona singolare – risuona rassicurante per ben sei volte).

Ti benedica il Signore e, cioè – come suo primo suo dono efficace – ti custodisca.

I due verbi, messi in parallelo e con YHWH quale soggetto, ricorrono eccezionalmente solo in questo brano. “Custodire/šāmar” per YHWH significa proteggere dal male e da ogni pericolo (cf. Es 23,20; Sal 91,11; 121; 140,5). Egli è “Colui che (costantemente, participio) custodisce Israele/šômēr Yiśrā’ēl”, “Colui che ti custodisce da ogni male/yišmorkā mikkol-ra’” (Sal 14,4.7). Egli “custodisce l’alleanza/promessa/berît e l’amore/ḥesed” (Dt 7,9.12; 1Re 8,23//2Cr 6,14; Ne 1,5; 9,32; Sal 89,29 e 1Re 3,6), il suo giuramento (cf. Dt 7,8) e la sua “fedeltà/’ĕmet” (cf. Sal 146,6b: “Colui che custodisce la fedeltà per sempre»).

Grazia e splendore del volto

Il Signore faccia risplendere il suo volto e, (cioè), ti faccia grazia. YHWH “faccia splendere/illumini il suo volto verso di te/ya’ēr (<‘wr, alla coniugazione fattitiva hiphil) pānāw ‘ēlêkā” “e ti faccia grazia/wiḥunnekā” (< ḥnn alla coniugazione intensiva piel).

YHWH è presentato con una metafora antropomorfica regale che rimanda a una scena di corte. Quanti sono ammessi alla presenza del re (cf. Rm 5,1!) accedono alla luce del suo volto e, alla sua presenza, godono del suo favore. La disposizione sfavorevole o la disapprovazione si esprimono invece con la metafora del rifiutare l’accesso, nel “nascondere il volto”, che però è sempre causata dal peccato del singolo e del popolo, non certo da YHWH: «Ma le vostre iniquità hanno scavato un solco fra voi e il vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto per non darvi più ascolto» (Is 59,2).

Chi accede alla presenza del re gode dello splendore del suo volto che irradia e contagia “il suddito” con la vicinanza del favore, del compiacimento e della benevolenza di YHWH. Questo è spiegato nel v. 25b come possibilità di godere del volto propizio di Dio, accedere al suo favore, alla sua considerazione, alla sua condiscendenza, alla sua grazia, al suo perdono (cf. Sal 51,3), alla sua difesa (cf. Sal 119,132), alla sua potente azione di salvezza (cf. Sal 80,4.8.20).

Il salmista canta l’esperienza che il re ha fatto della vicinanza attenta da parte di YHWH: «Signore, il re gioisce della tua potenza! […] Hai esaudito il desiderio del suo cuore, non hai respinto la richiesta delle sue labbra. Gli vieni incontro [cioè, “lo anticipi”] con larghe benedizioni […]. Vita ti ha chiesto, a lui l’hai concessa, lunghi giorni in eterno, per sempre. Grande è la sua gloria per la tua vittoria, lo ricopri di maestà e di onore, poiché gli accordi benedizioni per sempre, lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto» (Sal 21,2-7; cf. Sal 16,11).

“Volto alto” e pace

Altri due verbi vengono eccezionalmente accostati e riferiti a YHWH solo in questo testo: “alzi/nś’ il suo volto” e ti “conceda pace/ntn šālôm. “Alzare il volto” potrebbe anche significare in negativo “fare preferenze di persone, usare parzialità”. E in questa accezione Dio non alza il volto: «…. il Signore, vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali» (Dt10,17). Quando il re “alza il suo volto” in senso positivo, significa che ha una buona disposizione verso chi accede alla sua presenza. L’altro aspetto della medaglia è che ciò significa anche che il re YHWH contiene la sua ira (cf. Os 11,9), è paziente e lento all’ira (cf. Es 34,4).

Significativa per illustrare questo aspetto della benedizione è la scena del re Artaserse e della regina Ester che, piena di paura, entra nella sala delle udienze senza che il re l’avesse convocata in precedenza. La riportiamo secondo il testo greco lungo della LXX.

«1Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, ella si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi.1aFattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. 1bEra rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. 1cAttraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura. 1dAlzato il viso, che la sua maestà rendeva fiammeggiante, al culmine della collera la guardò. La regina cadde a terra, in un attimo di svenimento, mutò colore e si curvò sulla testa dell’ancella che l’accompagnava. 1e Dio volse a dolcezza l’animo del re: ansioso, balzò dal trono, la prese tra le braccia, fino a quando ella non si fu rialzata, e la confortava con parole rassicuranti, dicendole: 1f “Che c’è, Ester? Io sono tuo fratello; coraggio, tu non morirai, perché il nostro decreto è solo per la gente comune. Avvicìnati!”. 2Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: “Parlami!”».

 La benedizione di Aronne sui suoi figli si conclude con l’augurio/assicurazione che YHWH «ti conceda (lett. “ponga per te”) pace/yāśēm lekā šālôm». Il parallelismo sintetico giunge al suo culmine. La benevolenza di YHWH «si concretizza e culmina nel dono dello šālôm come completezza e pienezza di vita. Si tratta dell’aspirazione a vivere nell’armonia gli uni con gli altri, a comporre le differenze e le forze che sono in tensione o opposte, a livello sociale, familiare e, inoltre, a raggiungere l’armonia individuale tra le molteplici istanze che dimorano in ogni persona. Lo šālôm è il valore e il dono che sembra poter abbracciare le varie espressioni delle benedizioni divine: Il Signore darà forza al suo popolo, il Signore benedirà il suo popolo con la pace(šālôm)! (Sal 29,11)» (P. Scanu).

La versione del testo di Nm  6,23-27 trovata a Qumran, parte della Regola della Comunità/Serek hayaḥad trovata nella grotta n. 1, espande il testo biblico e augura che YHWH «illumini il tuo cuore con l’intelligenza che dà vita e ti conceda conoscenza per sempre» (1QS 2,2-4). L’allusione è al cambiamento del cuore che la nuova alleanza promessa in Ger 31 attuerà attraverso l’illuminazione che la Torah donerà a chi l’ascolta.

Il nome sugli israeliti

La prescrizione conclusiva della benedizione mette in risalto il fatto che, con la triplice benedizione, è sottolineato il ruolo del nome di YHWH che viene pronunciato sugli israeliti. Si pensa che coloro sui quali è posto il nome divino, con tutta la santità che gli si riconosce per le manifestazioni della salvezza e dell’amore di Dio, sono investiti della forza efficace del bene che scaturisce dal Signore.

Sembra che ci sia qui un possibile riferimento al fatto che la benedizione, o una parte di essa, potesse venir scritta su amuleti da indossare. A questa conclusione si è arrivati dopo che, nel 1979, in una tomba da Ketef Hinnom (Gerusalemme sud), sono state rinvenute due placche d’argento (fine VII secolo o inizio VI secolo a.C.), con iscrizioni che, in entrambe, si concludono con parti della benedizione sacerdotale.

Il nome di YHWH, che esprime la sua essenza, possa trasferire su chi riceve la benedizione i tratti essenziali dell’agire di Dio nella storia che sono diventati un nome nuovo per lui (cf. Es 3,13-14; 6,2-8; 20,2) e le qualità che contraddistinguono nell’essenza il Nome divino” (cf. Es 34,5-7).

Synkrisis

Secondo l’impostazione parallelistica del Vangelo lucano della nascita di Gesù (Lc 1–2, un Sondergut lucano – cioè un testo tutto suo), al racconto della nascita di Giovanni Battista e della visita dei vicini (Lc 1,57-58) è messo in parallelo (tramite il genere letterario della synkrisis o confronto valutativo tra due personaggi o due situazioni) quello della nascita di Gesù e della visita dei pastori (2,1-20).

La synkrisis instaura tra i personaggi e le situazioni un gioco di continuità e di superamento. Al brano abbastanza lungo sulla circoncisione del Precursore (2,59-66) è messa in parallelo la notizia brevissima sulla circoncisione di Gesù (2,21).

Circonciso

Attorno a Giovanni Battista si affanna un schiera di persone che “litigano” sul nome da imporre al bambino. Attorno a Gesù le cose avvengono con serena fluidità. Come previsto dalla legge di Mosè, nel giorno ottavo dalla nascita il bambino Gesù viene circonciso. È il segno della sua entrata ufficiale nel popolo di Dio, l’accettazione nella propria carne dell’alleanza offerta da YHWH.

Così viene spiegata nel testo fondamentale in cui YHWH si rivolge ad Abramo quando, a novantanove anni, ebbe Ismaele dalla schiava Agar: «Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso (himmôl < mwl) tra voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza (le’ôt berît) tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione […]; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne (wehāyāh berîtî bibśarkem librît ‘ôlām). Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del prepuzio, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza» (Gen 17,10-14).

Al bambino viene imposto il nome “Gesù/Iēsous/Yehôšu’āh), cioè “YH(WH) salva”. Nella sua carne non ci sarà solo il segno dell’alleanza, ma tutta la sua persona sarà la presenza terrena della salvezza donata da YHWH. Egli non vuole essere solo alleato del suo popolo, ma intende assumere la “carne” degli uomini per salvarla dall’interno della sua marcescenza dovuta al peccato e dal pericolo mortale di una vita fallita nella ricerca del bene e della felicità.

Nessun “litigio” o tergiversazione attorno a Gesù. Tutti eseguono perfettamente le indicazioni date dall’angelo Gabriele prima che egli fosse concepito nel grembo di Maria per opera dello Spirito Santo che la copre con la sua ombra (cf. Lc 1, 31.35).

Gesù sarà la salvezza in persona donata da YHWH al suo popolo. Figlio di Maria secondo la carne, egli è Figlio di Dio secondo la sua natura divina.

Sarà “grande/megas” e «“sarà chiamato/è e sarà riconosciuto anche esternamente come tale” Figlio dell’Altissimo/kai hyios hypsistou klēthēsetai» (Lc 1,32).

«Ciò che è nato (sarà) santo (oppure, forse, “ciò che è nato santo/santamente”, cioè con concepimento verginale) – aveva detto l’angelo Gabriele a Maria – sarà chiamato Figlio di Dio/to gennōmenon hagion klēthēsetai hyios theou» (Lc 1,35).

Maria, la Madre dell’uomo Gesù, sarà in tal modo anche “Madre di Dio”.

Madre del suo Figlio, Madre del suo Dio.

Angeli e pastori

Nel giorno della circoncisione appare visibile a tutti il mistero annunciato dagli angeli ai pastori: «È nato a voi oggi un salvatore che è Cristo Signore nella città di Davide» (Lc 2,11). Questo riferiscono a Maria e Giuseppe i pastori arrivati trafelati dopo aver finalmente individuato la “grotta/stalla/magazzino degli attrezzi agricoli” in cui a una giovane coppia di galilei era nato un bimbo.

Ci sono anche altri che, attorno a Maria e Giuseppe, si stanno “mangiando” il miracolo di un bellissimo neonato. Tutti ascoltano e tutti si meravigliano. In fondo, un bimbo è sempre un miracolo dell’amore di Dio…

Maria custodisce e confronta nel cuore le “parole pesanti” che sente e che vede.

E così fanno i pastori tornando alle loro fredde postazioni notturne riscaldate solo da un fuoco incerto e “unilaterale”.

Riemergono dai bassifondi dei loro cuori le preghiere imparate da piccoli, le lodi dei salmi per le grandi opere di Dio a favore di Israele.

Smozzicano qualcosa anche loro, come sono capaci.

Sono grandi le cose che avevano visto e sentito.

Tutto esattamente come era stato detto dall’angelo (cf. Lc 2,10ss).

Una vera benedizione quel bimbo.

Dio non si è stancato degli uomini.

Quella mamma lì, poi, era bellissima, raggiante in modo particolare.

Neanche avesse partorito un figlio di Dio…

Avremo di che parlare nei prossimi giorni…

Commento a cura di padre Roberto Mela scj – Fonte del commento: Settimana News

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