Vangelo del giorno – 15 settembre 2017 – don Antonello Iapicca

FIGLI DI DIO NEL CUORE DELLA MADRE CROCIFISSA DEL DIO CROCIFISSO

Non esiste maternità senza dolore. Anche se in questa epoca, che rifugge il dolore come nessun’altra, tra il moltiplicarsi di parti cesarei e anestetizzati, la sofferenza legata alla maternità sembra un tabù da cancellare. Ma il dolore del parto ha radice antica, nel peccato dei progenitori, al fondo dell’esistenza dell’uomo; è un segno della condizione umana, la cruda conseguenza della libertà tradita dalla superbia, il salario che ci consegna il peccato. E’ un fatto, è lì, come lo sono la morte, la malattia, il sudore sulla fronte affaticata dal lavoro, le difficoltà e le tensioni nelle relazioni umane, specie in quelle delle coppie.

Ma segna anche quel legame carnale e profondo che lega il figlio a sua madre, perché la ferita originale li unisce nella mendicanza di amore e redenzione. Una madre impara a conoscere intimamente le sofferenze del figlio custodendolo in grembo e partorendolo a prezzo di dolori lancinanti. E’ l’amore crocifisso, che si purifica tra grida, lacrime e angosce, che impara la gratuità sulle orme della debolezza. Quel grido definisce la grandezza e la debolezza di una donna come madre; racchiude l’essenza stessa della maternità, quell’unicum che la pone sulla soglia che separa carne e spirito, terra e Cielo. Ogni donna che grida dal versante della carne e del peccato, impaurita dalla morte, è la profezia d’un parto di speranza, di misericordia e vita eterna. Il parto è già segno del combattimento escatologico tra la vita e la morte, tra la menzogna e la verità, a cui, ogni madre, misteriosamente, è associata. Il parto, infatti, è la porta sulla vita, la memoria d’una realtà che spera un di più.

E Maria era lì, su quella porta. Maria guardava, fissava quel suo Figlio crocifisso, sulla soglia di quella morte che dischiudeva la vita. Era lì, e la spada a trapassarle l’anima: “Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l’anima della Madre” (San Bernardo). Il dolore nella carne da cui era stata preservata durante il parto nella notte di Betlemme si destava in quell’ora, l’ora del suo Figlio, la sua stessa ora, perché “Colei che fu crocifissa concepì il crocifisso” (San Bonaventura). Ogni dolore, di ogni uomo, di ogni tempo, s’era addensato nel corpo e nell’anima del suo Figlio. Non poteva non raggiungere Lei, la Madre. Era coinvolta nello stesso travaglio, e così diventava, lì presso la Croce, Madre della Chiesa nascente.

La Chiesa nasce così, nel dolore per poter lenire ogni dolore. Ogni volta che si annuncia il Vangelo e i piccoli lo accolgono per dare vita a una comunità, gli apostoli non possono che sperimentare lo stesso dolore; l’evangelizzazione è un parto che getta la Chiesa nel combattimento escatologico; lo scriveva San Paolo, raccontando come la sua missione si fosse svolta tra “fatiche, prigionie, percosse, spesso in pericolo di morte. Maria sentiva dentro il dolore del Figlio, le trapassava l’anima. Così è di ogni apostolo, pastore o catechista, missionario agli estremi confini della terra o madre di otto figli, cappellano dell’ospedale o padre alle prese con un figlio difficile, parroco o impiegato in banca: come Maria ai piedi della Croce anche per noi è preparato un parto, e in esso una “spada”.

In ogni dolore, problema, avversità che sperimentiamo la lama che ha trafitto l’anima di Maria penetra anche nella nostra facendoci partecipi dei suoi “sette dolori”, perché accanto a noi “stanno presso la Croce di Cristo” i “discepoli che Gesù ama”. Forse non lo sono ancora, probabilmente si sono allontanati da Dio e lo stanno addirittura bestemmiando. Ma Gesù guarda a tutti come ha guardato noi quando peccavamo, e ci ha amato. Dio ha amato il mondo da dare il suo Figlio, e il suo Figlio ha tanto amato il mondo da dare a noi sua Madre perché il suo amore giungesse a noi. Ci ha donato Maria, perché nelle stesse viscere di misericordia dove Lui, che era Dio, ha assunto la natura umana, noi che siamo uomini, potessimo ricevere la natura divina.

E questo si è compiuto ai piedi della Croce, dove Gesù ha voluto deporre nel seno di Maria il suo Mistero Pasquale perché attraverso di Lei potessimo esserne partecipi. Non dobbiamo far altro che accogliere Maria nella nostra casa, nella nostra intimità, laddove siamo, così come siamo. Lei ci ha partoriti, e continua ogni giorno ad amarci come per partorirci di nuovo alla Vita nuova. Lei ci è Madre nel dolore, perché di nessuno è indifferente, tutti la riguardano, ciascuno ha ferito il suo stesso cuore. Ad ogni Golgota il suo sguardo ci cerca con amore per spingerci a prenderla con noi, perché accoglie Maria solo chi è già stato accolto nelle sue viscere di misericordia. Sul Golgota del perdono nasce un matrimonio, come il ministero di un presbitero o la clausura di una sposa di Cristo. Qui scaturisce la fecondità della vecchiaia, della malattia, dei rovesci economici: “è l’amore che crea la sofferenza; solo chi ama ha la capacità di soffrire, e di partecipare alla sofferenza degli altri” (P. Claudel). Sotto la Croce, con Maria, sapremo piangere il dolore di chi ci è accanto, sfiorarlo con gesti e parole ispirate da Dio, perché esso possa unirsi, nell’amore, al dolore di Cristo crocifisso.

Madri nella Madre, perché figli nel suo Figlio: madre di tuo marito, di tua moglie, dei tuoi figli e dei fratelli, madri che accolgono tutti nella misericordia perché in essa conoscano il Signore.

don Antonello Iapicca

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni  19, 25-27
 
In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.

Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Parola del Signore

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