p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 9 Novembre 2020

Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che prese, sarebbe meglio tradurre accolte, le loro lampade escono incontro allo sposo che viene. Queste dieci vergini sono il simbolo di tutto il popolo cristiano, di tutti gli uomini di buona volontà. Ognuno di noi, all’inizio della propria vita, accoglie il dono di Dio: il dono della vita e il dono della fede, ognuno secondo la capacità del proprio recipiente che è il cuore. Nell’accogliere questo dono di Dio, c’è già l’accoglienza dell’impegno di portare queste lampade e di alimentarle. Queste lampade sono simbolo della nostra fede, sono simbolo della nostra capacità di vita e di seguire colui che è via, verità e vita.

Si prendono le lampade all’inizio del cammino della nostra vita, e le si porta con sé. Le si alimenta o le si lascia spegnere. Viviamo di rendita oppure cerchiamo quell’olio vitale che ci permette di alimentare la fiamma della fede e della carità che ci è stata donata nel battesimo.

L’uscire incontro allo sposo, significa cominciare il cammino della nostra vita che ci porta all’incontro ultimo con lo sposo, con il Cristo che pazienta a venire perché noi possiamo ravvederci; che pazienta perché il contadino possa zappare intorno al fico, mettere del concime e vedere se porta ancora frutto, prima di tagliarlo; che pazienta perché il contadino possa potare la vigna perché porti frutto; che pazienta perché noi possiamo trafficare i talenti che ci sono stati dati sperando che non andiamo a sotterrarli, come pinocchio, per paura di perderli.

Cinque di queste vergini sono stolte e cinque sono sagge. Nel regno dei cieli infatti il grano buono cresce insieme alla zizzania e, per ordine del padrone, si attendono i tempi ultimi per dividere l’uno dall’altra, per dividere la pula dal grano buono.

Perché vergini? Perché nel cristianesimo, fin dall’antichità, la verginità è un modo di vita per ricercare più lo spirito che la carne, per essere liberi da tutti quei giochi di potere e di sopraffazione che riempiono la nostra vita quotidiana, spesso la nostra genialità, la nostra vita ecclesiale.

Questo stato da sempre ritenuto speciale non è però qualcosa di magico che assicura il regno. Questo stato se vissuto in modo farisaico, cioè non come dono, ma come propria conquista per comprarsi Dio, diventa uno stato di stoltezza che porta a chiudersi a Dio anziché ad aprirsi a lui. Diventa uno stato di vita dove non si prende e non si procura olio per la lampada che ci è stata donata. Di questo noi dovremmo preoccuparci di più nella nostra vita. Preoccuparci cioè meno delle apparenze, che siano salve queste, e porre più attenzione che la nostra esistenza non sia un’esistenza stolta.

Finalmente, ad un certo punto della nostra vita, lo sposo arriva. Il sonno delle vergini è segno del dono: sia che il contadino dorma sia che vegli, il seme muore e germoglia, come anche il contadino stesso non lo sa. È il momento dell’incontro con lo sposo.

Dopo il sonno della morte, c’è il risveglio della risurrezione che ci porta ad incontrare lo sposo: uscite incontro allo sposo che viene, risvegliati o tu che dormi e sorgi dai morti ed il Cristo ti illuminerà.

Le vergini risorgono e si preparano per l’incontro, si adornano per lo sposo, si sistemano un po’ dopo essere uscite un po’ impolverate dai sepolcri. Si preparano portando le lampade che sono personali, non sono condivisibili. Il tempo della condivisione e della solidarietà è il tempo che noi passiamo su questa terra. È il tempo dove siamo chiamati a far fruttare i talenti. È il tempo dove siamo chiamati a dare da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, ad ospitare il forestiero, a vestire colui che è nudo, a visitare i malati, a trovare i carcerati. Senza accorgerci che in tal modo traffichiamo i doni di Dio e che in tal modo noi incontriamo Dio stesso, faccia a faccia che manifesta il suo volto sul volto di questi bisognosi.

Dopo la morte, nel regno dei cieli, dopo la risurrezione non è più il tempo del trafficare, è il tempo del dono totale e quanto è cresciuto in noi è nostro. Una pianta che diventa bella ci può fare gioire ma non può crescere anche per l’altra pianta. Siamo nella dimensione della responsabilità personale dove ognuno deve giocarsi con la misericordia e l’amore di Dio, giocandosi liberamente. La chiamata è quella di giocarci saggiamente ogni volta che ne abbiamo l’opportunità e di evitare invece di giocarci stoltamente non ravvivando la fiamma della lampada donataci.

Il no delle sagge non è un no egoistico, ma è un no di impossibilità: non è possibile un prestito di ciò che è personale. Nei tempi ultimi non è possibile dimezzare la propria santità per gli altri, è possibile solo prima, dove si gioca la libera scelta di ognuno.

I saggi chi sono? Sono coloro che entrano con lo sposo perché hanno ascoltato la sua parola e hanno fatto la volontà del Padre: chi ascolta la mia parola e la mette in pratica è colui che saggiamente costruisce la sua casa sulla roccia.

Gli stolti chi sono? Sono coloro che pensano di salvarsi perché vergini, perché famigliari con Dio, perché dalla mattina alla sera mungono le tovaglie degli altari, perché riempiono le loro preghiere di parole come i farisei, perché continuano a dire “Signore Signore”, perché pretendono di essere amici di Gesù. Sono coloro che in quel giorno diranno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità” (Mt 7, 21). Costoro costruiscono la loro casa sulla sabbia delle conoscenze e delle false amicizie. A loro verrà chiusa la porta in faccia per sempre.

A loro il Signore Gesù dirà: Non vi conosco! Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

Lo sposo infatti riconosce solo coloro che fanno la volontà del Padre vegliando!


AUTORE: p. Giovanni Nicoli FONTE SITO WEB CANALE YOUTUBE FACEBOOKINSTAGRAM

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