p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 8 Marzo 2019

Il vangelo di quest’oggi mi fa sorgere una domanda: quando lo sposo non è con noi? Quando la storia ci invita a fare lutto? Il tempo liturgico di quaresima è un cenno a questo fatto, ma non può giustificare il tutto. La storia del nostro quotidiano ci dice in verità se è quaresima oppure no, se è tempo di digiuno perché lo sposo ci è stato tolto, se è tempo di lutto perché non ci riconosciamo più figli dello stesso Padre.

I dati storici di ogni giorno che ci parlano dell’assenza dello sposo sono tanti. Come tanti sono i dati storici che ci parlano della sua presenza. Tanti sono i dati storici che ci parlano che siamo vicini alla pazzia: non mi interessa molto il giorno della festa delle donne, ma mi fa incavolare sentire della violenza gratuita o non, poco importa, sulle donne come sugli uomini, sui bambini come sui nonni. Mi fa incazzare e mi rende violento dentro, per fortuna solo dentro. Divento uno senza sposo che deve imparare a digiunare dalla violenza e dalla rabbia per potere gestire la vita, la storia propria e altrui, con altruismo e con gratuità.

Il digiuno forzato che ci troviamo a vivere è la sua assenza dovuta alla nostra negazione della sua presenza nella vita dei fratelli.

Se uno dice di amare Dio che non vede e non ama il fratello che vede, dice san Giovanni, è un bugiardo e Dio non è in lui. Non mi interessa l’amore liturgico per il fratello, come non mi interessa il digiuno eucaristico, mi interessa l’amore storicizzato. Su questo amore Gesù ha giocato la sua vita e su questo amore noi cristiani avremmo molto da dire, se ci decidiamo ad uscire da quei musei che sono le nostre chiese. Luoghi per giustificare la presenza di un prete che dica messa, e poi tutto finisce lì. Noi cristiani siamo chiamati a giocarci per le strade, a digiunare dando da mangiare ai morti di fame. Siamo chiamati a combattere contro la violenza di destra come di sinistra, sulle donne come sugli uomini, sui piccoli come sugli anziani. Non possiamo tacere come non possiamo parlare con le armi in pugno. Ma non possiamo continuare a fare finta di niente. Continuiamo a digiunare dai fratelli, continuando a nutrirci di maldicenza e di travi che ci accecano.

Siamo chiamati a vivere con la presenza dello Sposo, il risorto. Il banchetto è pronto ed è imbandito: tavolate piene di travi negli occhi con le quali siamo chiamati a banchettare: non ci mancherà certo il cibo se su quelle tavole riconosceremo la presenza della nostra trave nell’occhio.

Il nostro digiuno, se Lui è presente, consiste nel dividere e nel condividere il pane con l’affamato sia che abbia o che non abbia i timbri giusti. Smettiamola di giustificare la nostra malvagità nel non volere condividere quello che abbiamo con chi muore di fame, con la mancanza di timbri sulla pancia di questi nostri fratelli.

Il nostro digiuno consisterà, grazie alla sua presenza, nell’introdurre in casa i senza tetto. Basti coi bimbi all’addiaccio perché non possono passare un confine; basta con i campi di concentramento in Libia sostenuti da noi occidentali; basta con la vergogna dei campi in Turchia dove una dittatura tra le più feroci che vi sono in Europa viene foraggiata coi soldi dell’Europa perché faccia morire di fame e di sete i profughi che lì giungono, sul proprio territorio, lontano ai nostri occhi. È falso dire che non vi sono i soldi, manca la capacità di condividere il pane sulla mensa: siamo diventati così poveri di dentro da non riuscire più a decidere ciò che è prioritario – che il fratello viva e non muoia di fame – piuttosto che il diritto ad esserci solo noi a casa nostra?

Digiuniamo dai miseri, smettiamola di condannarli in modo gratuito e iniziamo ad accoglierli con gratuità. Allora la Sua Luce, Lui Luce, sorgerà come l’aurora sulle nostre giornate e ritorneremo a vedere con vergogna che il fratello è nudo. Siamo sommersi da stoffe eppure non ci vergogniamo che il fratello abbia freddo!

Tale illuminazione ci farà vedere la nostra ferita che nascondiamo sotto il dire male del prossimo. Il maledire il prossimo usato come scusa per non giocarci nella vita, fuori di chiesa. Non maledire il prossimo significa far diventare quaresima di salvezza le nostre giornate. Accogliere è logica conseguenza del ritornare a vedere le nostre ferite nascoste sotto una marea di cose. Così illuminati, così vedenti, ritorneremo a cogliere la bellezza del vero digiuno: dividere il pane con l’affamato (che festa), portare in casa i miseri (come diventano belle le nostre strade), accogliere in casa i senza tetto (la casa prende calore e umanità), vestire chi è nudo (non sentiremo più lui battere i denti per il freddo ma sentiremo il suo canto di gioia alzarsi in cielo mentre si fa una bella doccia calda in casa nostra).

Allora il digiuno non sarà cosa oscurantista da giocarsi nelle sacrestie delle nostre chiese, ma festa, festa sulla terra e canto di gioia in cielo. Allora, alla Luce del Risorto perché amato nel fratello non più affamato, la tua luce sorgerà come aurora e la ferita tua alla fratellanza perché figli del Padre, si rimarginerà presto!

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

Vangelo del giorno:

Mt 9, 14-15
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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