p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 6 Febbraio 2020

Ascoltando questo vangelo mi pare che vi sia un invito molto semplice ad andare per il mondo nudi. Non vi è contenuto teologico, non devi avere qualche licenza di qualsivoglia teologia, non devi neppure appartenere a qualche branchia della chiesa o a qualche gruppo o a qualche congregazione: semplicemente devi andare e andare nudo. Pochi uomini gettati sul terreno del mondo senza alcuna preparazione se non un cuore invaso dallo Spirito. Non è un invito alla beata ignoranza, anche se a volte mi pare che ci farebbe un po’ bene, quanto invece un invito ad esserci più che ad avere e a fare. È ritornare a cogliere che è Cristo il seminatore, è Lui che chiama e manda.

In questo mandato non vi è una indicazione dei contenuti da predicare, dei contenuti dell’annuncio. Il mandato dei Dodici non è legato alle cose da dire. La missione dei Dodici è un invito ad “esserci”: questo è il principio di ogni evangelizzazione: “esserci” con un certo stile. Esserci con un bastone che sorregge il corpo nelle fatiche del cammino, un compagno lungo la strada per sostenerci nel cuore: niente più.

Il vangelo non è cosa privata, non è avventura individualistica, è un movimento vitale comunitario.

Mi pare chiaro l’invito del Signore che giunge fino a noi: il credente è chiamato ad essere pellegrino, è chiamato a stare sulla strada, un pellegrinaggio caratterizzato e reso possibile da un bagaglio leggero. Un bagaglio che si è appesantito nei secoli di cristianesimo, un bagaglio da alleggerire. Forse il problema grosso ai nostri giorni non è la nostra crisi ma il fatto che questa crisi noi continuiamo a volerla risolvere in modo strutturale, non sostanziale. Tutte le strutture, ad esempio le zone pastorali, da rivedere vanno bene, ma quello è un problema secondario che noi continuiamo a fare diventare centrale, mentre centrale non è. Il bagaglio dell’inviato brilla più che per la sua essenzialità per la sua assenza. Uno dei bagagli che rischiano di ingolfarci è il bagaglio teologico che non è cosa cattiva, lo diventa nel momento in cui in questo bagaglio noi ci intestardiamo a volere farci entrare la realtà. Non siamo più mandati ma rimaniamo fermi cercando di mettere la vita nel sacco e questo sacco ingoia noi mentre la vita fugge lontana a gambe levate.

Non ci viene chiesta la sobrietà di mezzi, ci viene chiesta povertà perché la povertà risponde all’urgenza dell’essere testimoni e non del raccontare come si diventa testimoni. È un dato da esserci non da teorizzare o da scrivere o da analizzare, con un’analisi troppo spesso fine a se stessa.

Abbiamo bisogno di andare nudi, pressochè nudi, di quella nudità che è la nudità di Cristo che deposte le vesti cominciò loro a lavare i piedi, che deposte le vesti salì in croce per noi. Lui si è inginocchiato ai piedi dei suoi fratelli dicendo solo come ho fatto io così fate anche voi. Siamo invitati a prenderci cura della vita in modo nudo, come Lui: questa è evangelizzazione, questo è cammino di fede, questo è l’annuncio della Buona Notizia.

In questa nudità e in questo cammino in comunione, possiamo cogliere che l’essere cristiano non è cosa da fare ma relazione da vivere, cura della relazione vitale con la Vita. Da qui scaturisce la fraternità, da qui scaturisce l’essere figli. Da qui nasce non la rivalità ecclesiale, non il bisogno di monsignorati, non la necessità di essere riconosciuti come l’essenziale della evangelizzazione, da qui nasce l’evangelizzazione come affetto di relazione, come comunione di fraternità, come carità per ogni cosa che siamo e viviamo, soprattutto per il cammino fatto non per ordine del medico quanto invece per via di incontro. Camminare per incontrare non viaggiare in automobile per stare soli, magari in coda sull’autostrada. Il campo magnetico che scatta è campo magnetico evangelizzante, che canta l’inno alla Vita, che declina la cura della Vita, che danza nuda insieme ai fratelli.

Non ci sono declamatori della Parola non ci sono uditori: tutti lo siamo, poco o tanto. Non vado a portare all’altro una teoria sulla vita, condivido con lui quanto vivo vivendo di lui l’ascolto di ciò che lui è. Non si tratta di convincere o battezzare, si tratta di condividere ascolto e parola, sapendo che quanto lui mi dice, se accolto, diventa essenziale per l’Evangelo. Da qui fiorisce l’ospitalità vera che apre le porte dei cuori e delle case, per accogliere semplicemente e nudamente: lì il Signore c’è. Non ci interessa il successo, non ci interessano i numeri, ci interessa la bellezza e la verità di quello che siamo. Anche la stanchezza e il rifiuto fanno parte della vita, della evangelizzazione, del nostro perdere la nudità nostra per coprirci con vesti di falsità o vesti che velino la bellezza del corpo evangelizzante. Evangelizzare è cura e prossimità: ungere e guarire è opera del Padre in noi, quel Padre che si fa vicino ad ogni uomo anche grazie al nostro agire curante. Così il Misericordioso vive di questa nudità relazionale e di questa nuda relazionalità, ungendo e guarendo, sperando e amando in povertà e in vicinanza.

Fonte

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI


Incominciò a mandare i Dodici.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 6, 7-13 In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Parola del Signore

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