p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 5 Febbraio 2020

L’incredulità dei suoi è l’esatto opposto del credere dell’emorroissa e di Giairo: gli uni chiudono, gli altri aprono. Non mi interessa il credere legato ai miracoli: è solo una piccola parte del credere che noi tendiamo a fare diventare essenziale. Mi interessa il credere che ci apre alla vita, quella vera e totale. I suoi rimangono stupiti per il messaggio di vita che il Signore testimonia loro e rimangono, allo stesso tempo, chiusi. Il miracolo è strettamente legato alla disponibilità all’ascolto che più che roba da orecchie è cosa del cuore. Ciò che conta è il dialogo di fede che si instaura fra Gesù e la sua gente: questo è il vero miracolo perché fede che ci apre alla vita anche di fronte alla morte di Talità e alla malattia dell’emorroissa.

Gesù “si meravigliava della loro incredulità”, l’incredulità dei suoi, l’incredulità di noi. La nostra fede, a me sembra, sia più legata ad un concetto di potere che ad un vivere il Vangelo. Ci interesse il potere nelle e delle nostre parrocchie, ci interessa il potere del Vaticano che nel momento che viene messo in secondo piano da un Papa Francesco veramente santo, e non per decreto della causa dei santi, rispetto al vangelo, ecco che spuntano vecchie denominazioni senza senso ma che fanno breccia nei nostri cuori malati: lui è un comunista! Questa accusa è una cosa bella che mi richiama l’accusa fatta a Gesù di essere semplicemente il figlio del falegname, un operaio della classe operaia del comunismo dei bei tempi andati. È una cosa bella perché evidenzia la bellezza e la santità dell’uomo, è brutta perché anti evangelica e distruttiva proprio per mano dei suoi.

Meravigliarsi è cosa che ci sorprende di fronte ai miracoli. Gesù si meraviglia per la loro incredulità, per la chiusura del loro cuore. Il vero miracolo che è quello di lasciarci toccare da Lui, toccare la vita, non può passare sopra la nostra libertà. Dio Figlio non forza la nostra libertà la rispetta e se ne va in attesa che noi ci apriamo liberamente all’accoglienza: questo è il vero miracolo atteso. La meraviglia che è sorpresa bella per i miracoli, diventa per Gesù una meraviglia amara di fronte alla gente che ascoltandolo e stupendosi per le cose belle, anziché lasciarsi avvolgere dall’annuncio, perde tempo a chiedersi ma “chi è costui?”. Chiedersi chi è costui potrebbe essere una azione buona ma per i suoi non lo è perché espressione della chiusura che vivono nei suoi confronti. È una curiosità per chiudere, non certo per aprire e per aprirsi.

La donna emorroissa tocca Gesù, i suoi lo conoscono in quanto suoi concittadini e ne prendono le distanze mettendo in campo tutto il loro maledetto buon senso. L’emorroissa lo tocca con fede, tocca con fede il lembo del suo mantello ed è salva. Quanti gli si stringono intorno, quanti di noi lo fanno, ma pur toccandolo da ogni parte non vengono toccati, non si lasciano toccare, non si lasciano amare. La folla che tocca è come l’affollamento su di un tram: speri solo che molti scendano alla prima fermata. Il toccare di Gesù alla figlia di Giairo diventa canto di gioia, diventa preghiera: Talità kum!

Marco ci dice che non basta conoscere e toccare il Cristo, non serve a nulla andare a Messa e fare la comunione, non serve confessarsi con tutti i crismi di sto mondo una volta la settimana: c’è solo un toccare che libera ed è quello della fede, del cuore aperto, della non ricerca di miracoli quanto invece il miracolo del lasciarsi toccare dentro e cambiare la vita.

Il rifiuto di Gesù da parte dei suoi che siamo noi, è lo stesso rifiuto dei farisei che, alleati col potere di turno, vogliono sopprimere Gesù, cioè Francesco. Qui la realtà è molto dolorosa, forse più dolorosa che il Calvario e la croce. È più dolorosa perché si tratta del rifiuto dei suoi, cioè di noi. I suoi, cioè noi, lo giudicano pazzo. Loro, cioè noi, guardano ma non vedono, ascoltano ma non intendono. Chi Gesù è secondo la carne, chi Gesù è perché Verbo incarnato con tante feste durante il Natale, è il vero ostacolo a credere. Da buoni diplomatici noi preferiamo eliminare la potenza del Figlio di Dio che si incarna, facendo delle feste che ci aiutino a dimenticare chi Lui è e che cosa dice a noi e alla nostra vita. Una bella festa, un bel colpetto, e via!

Noi che siamo ben disposti verso Gesù è bene che ci accorgiamo di quanto, allo stesso tempo, siamo ciechi e sordi. Lui ci è di scandalo per quello che va dicendo e facendo; lui è follia per noi ben pensanti, noi inchiodati ad una economia di sopraffazione dove ciò che conta sono i nostri interessi, non la vita del mondo.

Riconosciamo che, in fondo, noi non possiamo accettare Dio nella persona concreta di Gesù, che è il fratello povero soprattutto di cuore. Non basta essere dei suoi, essere battezzati: si può essere dei suoi e volerlo uccidere. Incredulità e desiderio di morte vanno a braccetto, non stupiamoci se avviene anche oggi. A noi giunga l’invito ad essere sua famiglia vera, non quello di essere dei suoi, vale a dire gente che lo tocca nella fede ascoltando Lui Parola e vivendo la bellezza della volontà del Padre che ci chiama ad essere figli e fratelli.

Fonte

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

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Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 6, 1-6 In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Parola del Signore

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