p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 28 Giugno 2020

Il Vangelo di oggi ci irrita e ci affascina allo stesso tempo.  Gesù annuncia un vino nuovo in otri nuovi, una prospettiva nuova di amare: mettere Lui come priorità nella nostra classifica affettiva.  Non ci chiede un’ingiusta esclusiva, Lui ci indica che siamo noi ad assolutizzare i nostri amori, creando dipendenze asfissianti che non generano vita. Da questo ci chiede di liberarci per diventare “degni di Lui” cioè degni della libertà dell’amore. È fiducia in Lui abbandonare ciò che Lui abbandona, prendere ciò che Lui prende, vivere la vita come Lui la vive nel dare e nell’accogliere.

Ciò che interessa è la relazione, non i sistemi politici o religiosi da salvare che provocano morte. Ciò che interessa è la relazione con Dio non falsata dalle leggi e dall’obbedienza, cosa che rovina anche ogni pseudo-relazione familiare o amicale, ma sull’accoglienza e sull’amore che dona valore ad ogni cosa, Dio compreso come Padre.

Il desiderio di possedere la propria vita, cosa di ogni uomo schiavo di turno di qualsiasi eventualità, è il veleno di ogni uomo. Appena l’uomo riesce a possedere la sua vita diviene egoista perdendo il senso stesso della vita, figuriamoci la sua relazione di amore. L’uomo possessivo della propria vita riesce con facilità ad uccidere, di conseguenza sia la sua vita di figlio, Dio Padre compreso, sia la propria vita fraterna. L’effetto naturale di questo modo di essere e di fare è egoismo perdente ogni relazione di amore.

La vita sembra proprio cosa da perdere. Non è così solo perché siamo mortali, ma soprattutto perché vivere è amare e amare diventa campo dove facciamo dono della vita. Non ci interessano i risultati di cui spesso siamo schiavi, ci interessa l’investimento di amore che siamo noi, indipendentemente da quanto otteniamo. L’investimento di amore è bello in sé e finisce in sé: godere questo e di questo è il vero dono della vita.

Ritornare capaci di cogliere che la vita non è cosa da trattenere ma cogliere la bellezza dell’inspirare e dell’espirare come dono di vita, è divenire gente che riscopre la bellezza del donare gratuitamente amore nel buttare lì qualcosa di bello senza nemmeno ricordarci di averlo fatto. Questo che noi definiamo cosa vuota è apertura a ricevere con gratuità quanto giunge a noi.

Così, grazie a Gesù, la vita non è buttata via per disprezzo, un disprezzo che a volte ci avvolge, ma donata e quindi fonte e luogo di gioia, grande comandamento evangelico: siate nella gioia!

Accogliere le persone che trovano la propria vita perdendola per amore e in relazione, è accoglienza di Gesù che diventa accoglienza del Padre grazie all’amore dello Spirito che vive in noi. Accogliere Gesù significa accettare di divenire suoi fratelli. Gesù ci accoglie come primo passo, accogliere Lui che ci ha accolti significa divenire figli perché accogliendo Lui noi accogliamo il Padre che tutti accoglie.

Non è una relazione da pagare o che deve rispondere a leggi e comandamenti, è relazione di gratuità dove il centro è dato dal tuo essere accolto: unica cosa sicura e eterna.

La gratuità e la povertà sono l’azione missionaria del Padre che ci ama. Dio vive di questa astuzia perché via che libera l’uomo liberando nell’uomo stesso la scintilla di Dio, vale a dire il nucleo centrale dell’amore. Questa è la sua missione e a questa missione siamo chiamati anche noi. Così diveniamo capaci di accogliere non perché siamo obbedienti ad un comando, ma perché ci apriamo sempre più alla bellezza e alla umanizzazione della relazione stessa. Così noi diveniamo capaci di cogliere che al di là delle apparenze la ricchezza e la forza creano rapina e violenza. Evangelico è smettere di fare questo condannando tanti, anche poveri, che non rientrano in questa dinamica attiva o meglio ancora, redditiva. Sono la povertà e la debolezza, scelte non subite, che provocano accettazione e misericordia, relazioni di vera figliolanza e familiarità di ogni tipo.

Riconoscere sempre e comunque la fiducia che ha il Padre con me e la chiamata ad averla con Lui, ci libera dalla schiavitù della dipendenza della fiducia che può provenirmi dall’altro. Vivo questo perché bello e umano, non perché ho un ritorno bello al riguardo, schiavo di una rendita che appare bella ma che, in realtà, mi succhia la vita ogni giorno sempre più.

Chi accoglie entra nel Regno: così noi accogliamo il Figlio che ci ha accolti e diveniamo figli perché fratelli. Anche il minimo gesto di accoglienza, un bicchiere di acqua fresca, è cosa imperitura e divino perché figlio della stessa famiglia del Padre.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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