p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 27 Febbraio 2020

Mi pare che il primo atteggiamento che dovremmo mettere in campo nella nostra vita per il tempo che stiamo vivendo, sia l’atteggiamento del vegliare, dello stare svegli. Sarebbe tempo per riposare e per dormire, ma la vita ci chiede di stare svegli. Stare svegli nel momento in cui crolliamo di sonno, risvegliarci nel momento in cui ci stiamo assopendo. Ce lo chiede non il virus ma la vita. La vita che stiamo perdendo e che il Signore Gesù è venuto a risvegliare in noi. È oramai ora di svegliarci dal sonno.

Quale sonno? Il sonno che ci porta a vivere il Signore Gesù come un trionfatore che risolve i nostri problemi con benedizioni e rosari. Svegliarci da questo torpore da superman per accogliere “il Figlio dell’uomo che deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. È tempo di svegliarci per accogliere la vera chiave interpretativa dell’annuncio del vangelo: non è roba per me ma per noi; non è roba autoreferenziale ma globale; non è chiamata ad essere dei mistici fuori dal mondo pieno di virus ma a dare la vita per questo mondo virulento. Gesù deve fare questo perché ha scelto la via del dono e dell’amore. È un dovere che consegue una scelta, non è premessa della scelta stessa. Se così non fosse sarebbe solo un obbligo morale che lascia il tempo che trova. È una scelta che scaturisce dal vegliare sulle nostre scelte, dallo stare svegli perché non sono automaticamente buone solo perché le sentiamo tali, e scaturisce dal cogliere la vera via del bene, dell’amore, della gratuità.

Gesù non cerca la croce, mettiamocelo bene in testa; non è nemmeno alla ricerca di una concretizzazione di un destino. Gesù veglia, vale a dire discerne il bene nell’incontro tra la sua libertà e la libertà del Padre. Vive nella libertà la più grande contraddizione: morire per donare vita. Gesù sceglie di amare fino all’estremo anche a prezzo di una grande vergogna, cosciente che non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici. Ne sono sempre più convinto: fino a che uno non è disponibile a morire per l’altro, non ama veramente.

A noi, se stiamo svegli e vegliamo, giunge la sua parola: “Se qualcuno vuole venire dietro a me …”.  Gesù ci parla chiaro, non ci illude, non teme che qualcuno lo abbandoni o non venga più in chiesa perché è stato chiaro con lui.

Se qualcuno vuole, rinneghi se stesso: roba da matti per la cultura odierna, eppure roba vera. Basta con la ricerca del proprio benessere fisico o interiore: è tempo di spendere per amore non di accumulare scialacquando. Rinneghi se stesso, rinunci a se stesso: non so se questa parola alberghi ancora nel vocabolario italiano e internazionale, senz’altro non alberga nella nostra vita. Eppure senza rinuncia non c’è vita. Se un genitore non rinuncia a certe sue libertà non avrà mai un figlio e se lo avrà, non se lo prenderà a carico e non ne avrà cura. L’egocentrismo negato e allo stesso tempo vissuto, nega questa possibilità e ci riduce ad uno stato di adolescenzialità dove i miei diritti sono la mia idolatria anche a costo che il mondo caschi. L’altro è e rimane solo un nemico, non certo un fratello.

In questa situazione la croce, non da cercare ma da prendere perché parte della vita, diventa una cosa brutta e repellente anziché una via bella di liberazione che mi permette di incarnarmi nel quotidiano. Nessuna realtà, vedi la croce, potrà obbligarci a non vivere il vangelo. Lui è da seguire, Lui che ha tracciato questa via bella e chiara, umanizzante e piena di cura per la vita. Chi vuole mi segua: l’orrore della rinuncia e l’accoglienza della croce, sono strada di sequela che acquistano senso alla luce della vita di Gesù. Non servono a farci belli, non sono finalizzati a creare consenso, hanno senso in sé perché semi che caduti in terra muoiono per portare vita sparendo. Seguire le orme della vita donata di Gesù e persa per amore è la bella sfida dei nostri giorni.

Vegliare è cogliere quelle malie di illusione che la nostra cultura – forse la parola cultura è troppo grande per noi -, ma comunque sia che la nostra cultura ci spinge a mettere in campo, costi quel che costi. Vegliare per cogliere che l’illusione dell’autorealizzazione al di sopra di tutto è la vera nostra morte e che la perdita della vita nel dono di amore è la vera nostra vita, è la sfida bella e vitale dell’oggi.

Accorgerci della virulenza del virus illusorio della realtà virtuale, è passo fondamentale per cogliere ciò che invece veramente ci umanizza anche a costo di apparire ridicoli e gente fuori di testa, come il nostro Papa Francesco.  

La vita fondamentale della nostra umanità fedele e della nostra fede umanizzante ci ricorda che ciò che teniamo per noi stessi è illusoriamente nostro, finiamo per perderlo, anche se andiamo in giacca e cravatta avanti e indietro dalla Cina per affari.

La legge libera e liberante è questa: ciò che siamo disposti a perdere per amore, anche a costo della vita, lo salviamo perché ci salva, diventa seme caduto in terra che muore portando frutto. Non mi interessa che io viva, mi interessa che la vita continui e viva e cresca per la nostra umanità così votata al suicidio. Facciamo un bel respiro, facciamo una bella respirazione liberante a patto che questo diventi dono e non egoismo.


Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 9, 22-25 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?». Parola del Signore

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