p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 25 Giugno 2020

Abbiamo presente come fare la volontà di Dio significhi riconoscerci figli e comportarci fratelli. La prima conseguenza di questo dato è il fatto che non basta la fede e la celebrazione liturgica. La messa è questione da celebrare nel nostro corpo. Anche i demoni credono ma tremano. Il dire perché conviene e perché bisogna fare così è cosa demoniaca perché l’essenziale è la conoscenza, non la chiacchiera ben fatta e rispondente ad ogni regola teologica e di fede.

Ci confida Paolo, nella lettera ai Romani: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (12, 1-2).

Il sacrificio non è una rinuncia ma fare cosa sacra, vale a dire cosa bella, cosa vitale. Questa è la roccia su cui siamo chiamati a costruire la nostra casa. Questo corpo nostro diventa il corpo di Cristo, sacrificio gradito a Dio, che celebra ogni giorno la sua messa sul mondo offrendo se stesso per il bene e la bellezza del mondo.

Non basta credere, anche i demoni credono eppure tremano davanti a Cristo. I demoni sapevano chi Lui era, ma lo pregavano di allontanarsi da loro e di lasciarli in pace. Credere è importante ma ciò che è ancora più importante è che cosa diventa per la nostra esistenza questo credere.

Ascoltiamo cosa ci dice Giacomo nella sua lettera: “Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano! Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?” (2, 19-20). Non dobbiamo dimostrare nulla, dobbiamo semplicemente essere, essere per la vita vera. Questa è la porta stretta, questa è la via più piccola, questo è però essere piantati come alberi lungo il fiume della vita di Dio: così possiamo portare frutti quasi senza accorgerci. Così porteremo frutti senza nemmeno sapere di portarli: sbocceranno fiori, matureranno frutti, qualche passante ne mangerà, noi semplicemente vivremo. I frutti infatti sono dono quindi non roba da accumulare ma da condividere con chi ne necessita.

Una fede e una preghiera che non fioriscono in vita concreta, non giovano a nulla, sono roba da contemplazione del proprio ombelico. Questa fede è cosa morta. È questione naturale che il corpo senza lo spirito sia cosa morta, come lo spirito senza il corpo manchi di incarnazione. Così la fede con le opere e viceversa: “Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Gc 2, 26).

Non è problema di incoerenza che è cosa nostra e che sempre ci sarà. L’incoerenza vissuta e riconosciuta è luogo di umiltà non di condanna. La fiducia e la conversione come stile di vita, passano da lì. Ciò che non dona vita è l’autosufficienza di chi si ritiene a posto perché dice “Signore, Signore!”: è cosa sabbiosa questa. È sabbia che ti sfugge tra le mani e che non può dare stabilità ad una casa. Dire Signore, Signore, senza che Gesù sia il Signore della nostra vita, è cosa falsa e tendenziosa, è manipolazione religiosa nei confronti di Dio.

Vivere la Vita, cioè costruire sulla roccia, è camminare sulla Via di Gesù che ci conduce ad accogliere lo Spirito che grida dentro di noi “Abbà!”.

Non sono le profezie o i miracoli che fanno entrare nel Regno di Dio. Così come non lo sono gli esorcismi o le apparizioni più o meno presunte. 

Ciò che è salvezza, casa sulla roccia, non è fare miracoli ma è fare la volontà del Padre che è ogni momento amare i fratelli, cosa prioritaria anche rispetto alla salvaguardia dei confini di casa nostra.

Gesù non rimprovera la semplice incoerenza che è parte della nostra vita. La nostra incoerenza non è cosa da negare quanto invece luogo sano di umiltà, di fiducia, di riconoscimento di quanto sia importante e bello convertirci riconoscendo il nostro non amore che chiede semplicemente amore. Ciò che non va è la nostra autosufficienza di ritenerci a posto dicendo semplicemente “Signore, Signore!”. Non è questa questione di vita, questione di vita è vivere perché Gesù è Signore della vita, semplicemente perché ci ama, non dipendendo dal nostro merito.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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