p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 24 Giugno 2019 – Lc 1, 57-66. 80

Il Regno di Dio è annuncio che il Regno è vicino, che dico, è in mezzo a noi e sguardo che vede che il Regno c’è e viene in coloro e grazie a coloro che hanno bisogno di cure, cioè noi.

Mi verrebbe da dire: basta adorare Cristo nell’ostia, nel tabernacolo, è tempo di tornare ad adorarlo nel corpo dell’uomo. È l’uomo vivente che rende viva la Parola, non un tabernacolo. È l’uomo vivente che ha bisogno di cure. È nell’uomo vivente che la musica della Parola che annuncia il Regno comincia di nuovo a suonare e risuonando diviene motivo di condivisione.

Gesù annuncia e ha l’occhio attento a coloro che hanno bisogno di una carezza guarente. I discepoli, cioè noi, sono ancora divisi: vedono il bisogno e rimandano al nulla la fame della gente. Possono, possiamo, fare tutto? Non è giusta questa domanda. Questa domanda nasconde la scusa per nasconderci e non fare più nulla per la vita del Regno che si concretizza in quella Parola annunciata con grazia e in quel prendersi cura dei malati, quel non chiudere gli occhi davanti alla fame del fratello.

Credere nel Regno è un modo di essere e di stare nella vita. L’annuncio del Regno non è una chiacchiera che passa magari anche in una bella predica e poi chi s’è visto s’è visto. Un bel modo per lavarci le mani. Un modo becero per uccidere la vita. Lavarci le mani sembra la cosa più giusta che possiamo fare. Siamo ciechi guidati da guide cieche, siano esse i nostri politici, e non ci vuole molto per coglierne la cecità, siano essi i nostri pastori. Pensiamo che il Regno sia una religione a buon mercato dove poterci giocare per avere vantaggi. Il Regno che è il Corpus Domini, è la sintesi tra l’annuncio del Regno e la cura per i malati, il cibo da dare ad ogni uomo.

Lui è la Parola, Lui è il Curatore dell’uomo non degli addobbi della chiesa, Lui è il Pane che diviene Parola vivente che è bella da ascoltare. Parola che fa bene al cuore, Parola che diventa Pane vivo disceso dal cielo. Non c’è più divisione fra cielo e terra, fra sacro e profano, tra credente e ateo, fra cristiano e musulmano, perché tutti siamo figli dello stesso Padre.

La Parola che canta la vita in noi mentre ci consola e ci dona il Pane spezzato e condiviso, ci ricorda che abbiamo bisogno di essere toccati, toccati nel corpo. Abbiamo bisogno di cure. Il Regno è ritornare a vedere che è bello che qualcuno si curi di noi, che non siamo dei dimenticati. Evidenziare il Corpus Domini come bisogno di carezze e di baci e di lacrime e di qualcuno che ci tenga la mano e abbia ancora il coraggio e la fede e la passione per guardarci negli occhi, è ritornare a credere al Regno di Dio annunciato e vissuto. Non c’è fede nel Padre se ci dimentichiamo del respiro del nostro corpo, che è Corpus Cristi, respiro del mondo.

Non possiamo salvare il mondo? Ma noi siamo chiamati ad essere salvezza per il mondo non a salvare il mondo. Essere salvezza significa vivere per il mondo e la sua vita e non per i risultati della nostra azione per il mondo.
Non belle prediche, non belle parole, ma bella vita che diventa cesta di pane avanzato da portare ai fratelli. Bella vita che è ascoltare l’annuncio: Pensateci voi a loro, cominciate a farli sedere ora, oggi, sull’erba. Ma ci mancano le strutture. Non è vero: quando abbiamo l’uomo noi abbiamo tutto e nulla ci manca. Ritorniamo a suonare la bella danza della vita che Gesù parola di vita ci dona con se stesso. Diventiamo Parola cantata e danzata mentre curiamo i malati e diamo da mangiare pane agli affamati. Abbiamo sguardo per cogliere il bisogno di carezze e di amore e il bisogno di cibo che non perisce e ascoltiamo dal profondo del cuore Gesù che ci dice: date voi stessi loro da mangiare.

Non preoccupiamoci della fame nostra e dei nostri fratelli, prendiamoci cura di questa fame e ricominciamo ogni giorno a spezzare il pane di vita che ci viene donato e che ci viene cantato dallo Spirito Santo. La festa del Corpus Domini diventerà oggi la festa della danza, la festa della condivisione, la festa dell’occhio attento che vede e che incontra, dell’occhio che non distoglie l’attenzione ma si fa pane di vita, carezza di amore.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

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Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1, 57-66. 80

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Parola del Signore

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