p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 19 Settembre 2020

Creare interrogativi significa creare quella sana curiosità che ci porta a cercare, a guardare oltre il piccolo orizzonte del nostro tran tran quotidiano. La conseguenza di questa curiosità è un coinvolgimento più vero e più personale nelle vicende della vita. Se poi l’argomento di cui si parla è un argomento di fede, di umanità, personale, allora l’interrogativo è d’obbligo. Ciò che riguarda la propria esperienza, come la propria umanità, come la propria fede ha un fondo ineffabile, indicibile, non comunicabile. Solo l’affetto con cui noi siamo coinvolti nella vicenda del prossimo ci può aiutare a comprendere. Senza tale coinvolgimento e con la convinzione che noi comunque comprendiamo tutto, noi saremo costretti e condannati alla critica e al disprezzo, alla negazione e alla non comprensione. La convinzione di conoscere ciò che invece è mistero è la trave che acceca i nostri occhi e i nostri cuori e ci fa dire cose che non hanno alcun fondamento.

I discepoli che hanno ascoltato la parabola del seminatore hanno capito poco. Ma l’effetto in loro di questa parabola è la ricerca, la domanda, l’approfondimento: non credono che Gesù l’abbia detta tanto per dare aria ai polmoni. Il passaggio della domanda, conseguenza naturale dell’ascolto della Parola, è importante ed essenziale per ogni cammino di fede e di umanità. Se la Parola fonda la persona, fonda la comunità cristiana, la domanda che ne scaturisce ci porta a cercare.

Una verità per noi è tale se comprensibile. Ma non possiamo non concordare col fatto che solo se la sua non comprensibilità, perché la verità se è tale ha sempre un angolo di incomprensibilità, diventa motivo di curiosità di ricerca, di rimetterci in cammino. La verità non può essere finalizzata a coprire il nostro bisogno di sicurezza. Ha ben altro fine e il fine è la ricerca, è il coinvolgimento, è il rimetterci sempre e comunque in cammino perché coscienti che siamo pellegrini e non stanziali.

La verità, come l’esperienza, come il mistero dell’Altro/altro o apre alla conoscenza contemplativa, che è indicibile, oppure non è. Può essere intuita, magari attraverso parabole che non hanno mai un finale chiuso, ma mai definitiva, sempre da contemplare. Come il volto dell’amato/a non è mai compreso ma è sempre richiamo alla contemplazione, a rimanere a bocca a aperta, a non stancarci mai di guardarlo non perché conosciuto ma perché misterioso nella sua bellezza per noi. Ancor più questo è vero per il cuore umano, per il cuore dell’umanità, per il cuore della Parola. L’angolo oscuro se ascoltato desta l’interesse e la ricerca, interesse e ricerca da vivere nella contemplazione.

Elemento essenziale di questa conoscenza contemplativa è l’ascolto, il trattenere e la perseveranza. Non è roba fugace, non è roba di un botta e via, non è roba banale, non è roba che si può conoscere. Le resistenze che noi viviamo ogni giorno nei confronti della Parola e del mistero nostro e del fratello sono proprio queste: la pretesa di conoscerlo, la pretesa di poterci dimenticare, la pretesa del “basta un’ora alla settimana per rimanere in campana”.

L’ascolto della Parola e del suo mistero, come l’ascolto di noi stessi e del fratello, è cosa mistica e contemplativa, ci siamo detti. Per questo se non è vissuta con ascolto continuo di cuore, orecchi, occhi, naso, bocca, non ci porterà ad alcun movimento del nostro essere, ad alcuna vera intuizione di comprensione. Se non abbiamo il coraggio di trattenere questo ascolto in noi non lasciandocelo portare via dalle folate di vento quotidiano che ci fa tuffare nei problemi contingenti come la cosa più importante della vita, non avremo modo di contemplare e di contemplarci: non vivremo da innamorati ma da gente nel cui cuore l’amore è già spento. Se non vivremo con perseveranza, qualità più che quantità, il nostro ascolto e la mistica dell’ineffabile, dell’indicibile, noi faremo anche delle belle esperienze che diverranno per bene che vada fonte di nostalgia, mai vita. Mai vita vissuta, non raccontata. Saremo condannati al vecchio atteggiamento da reduci, non faremo memoriale ogni giorno. Lo scopo della Parola ascoltata e trattenuta con perseveranza è proprio questo: fare memoriale della propria vita, vale a dire celebrare messa ogni giorno, vale a dire accogliere la Parola di Gesù che ci dice “fate questo in memoria di me”, come testamento vitale per la nostra esistenza che diventa messa continua sulle strade della vita.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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