p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 19 Aprile 2020

L’onestà intellettuale di Tommaso che dice ciò che fa e fa ciò che dice, è dote rara quanto necessaria alla nostra umanità.

Troppo facile definire Tommaso che non crede fino a che non ci mette il naso. Tommaso, l’unico non chiuso nel cenacolo per paura dei giudei; Tommaso, l’unico che se ne va a spasso per Gerusalemme senza temere; Tommaso che continua a vivere la vita rischiandola nell’incontro.

            Tommaso conosce bene i suoi amici cardinali, gli altri Dieci Apostoli, non può credere loro. Forse per lui era più credibile Maria di Magdala: più onesta nella sua testimonianza di amore. Tommaso sa quanto i suoi siano paurosi. Dove loro si trovavano le porte erano chiuse, sprangate, per timore dei giudei. Come si fa a credere a gente paurosa, chiusa nella sua paura? Che testimonianza vuoi mai accogliere da gente siffatta?

            Tommaso, nella sua onestà, non crede loro e fa una professione di fede sconvolgente: voglio vedere le impronte dei chiodi e mettere le mani nell’impronta degli stessi. La sua professione di fede è professione di identità. Il Risorto deve avere i tratti dell’identità del Crocifisso. Se Lui ha le ferite del Crocifisso, Lui è il Risorto!

            Abbiamo trovato il Messia, avevano testimoniato i primi due discepoli andati a casa di Gesù. Abbiamo visto il Signore, dicono gli Apostoli ora.

Questo incontro indica un passaggio che è fondamentale per la vita di ogni discepolo come di ogni comunità cristiana. È il passaggio dall’essere chiusi per paura dei giudei, ad aprirsi all’annuncio. È il passaggio dal volere condannare il mondo per i suoi peccati, per avere ucciso il Signore della vita, al perdonare il peccato del mondo. È il passaggio dalla paura, cosa che sembra non stesse sperimentando Tommaso, assente dal cenacolo sprangato, alla fede dove i segni dei chiodi sono segno di identità e non fonte di terrore e di paura.  È il passaggio dalla tristezza alla gioia, dalle lacrime perché hanno portato via il mio Signore al “Rabbunì”. È il passaggio dalla morte alla vita perché vedere il Signore è la vita dell’uomo. L’incontro con Lui trasforma la vita, non c’è che dire.

Così il colpo dei chiodi impressi nelle sue mani sono sigillo di identità e autentificazione del suo potere di Crocifisso. Non riconoscere la sua identità significa non potere entrare nella sua comunità. Tommaso porta la sua comunità ad un passo in più. Non gongoliamoci col fatto che è risorto ma autentichiamo la nostra fede col segno dei chiodi.

            Vedere e toccare le ferite, significa cominciare a vivere da umani che accolgono le ferite proprie e dell’altro, della propria comunità, come segno di umanità non più come segno di fallimento. Lì nasce la comunione profonda con il mistero. Non ha nulla di doloristico questa fede, è realismo umano che diventa fonte di gioia, non allegria.

            Queste ferite, questi buchi, non saranno chiusi fino a quando non ci sia entrato l’ultimo degli uomini. Solo allora diverranno cicatrici. La paura della morte sarà guarita dal toccare le ferite del Crocifisso Risorto entrando nel suo cuore squarciato. 

Tommaso, didimo, gemello, gemello nostro che ci apre la strada di quell’onestà intellettuale che diventa onestà di cuore e via per credere e non essere increduli.

Tommaso è gemello di quella parte di noi che non accetta la morte, destino supremo dell’uomo. Tale atteggiamento nasce dal non credere alla possibilità di un amore che vinca la morte. Ma rimane aperto ad essere smentito dai fatti: le ferite sono i fatti che smentiscono questa bella mancanza di fede che nella sua onestà è aperta alla vera fede. Niente di magico, tutto pieno di umanità dove Dio è con noi.

Fonte – Scuola Apostolica


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