p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 18 Gennaio 2020

Gesù ha chiamato dei bravi pescatori e questo è bene, secondo il nostro termine di giudizio. Ma Gesù oggi chiama Levi, un peccatore. Sì è vero, ci diciamo noi, ma in fondo era un brav’uomo, un’eccezione su mille. Ma Gesù è a tavola con pubblicani e peccatori: qui la cosa si fa più seria, non abbiamo più scappatoie. Non possiamo che rassegnarci a fare risuonare in noi il fatto che: “non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io (Gesù) non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.

Ti sono perdonati i tuoi peccati, dice Gesù al paralitico, cosa che lo rimette in piedi. Il perdono fa “risorgere” il peccatore, cioè io. Per questo ogni uomo può seguire Gesù e mangiare con Lui.

Beato l’uomo che retto procede, dice il salmo 1. Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno, ci dice il salmo 32 facendoci fare un balzo in avanti nella presa di coscienza di ciò a cui Dio sta a cuore.

La beatitudine del giusto non è di chi non ha sbagliato: questo è un abbaglio che offusca la vista, la mente e il cuore di ogni uomo. La beatitudine del giusto consiste nello sperimentare il perdono. Quante storie dobbiamo raccontarci per coprire le nostre ingiustizie, i nostri errori. Se ci rendessimo capaci di poterci raccontare in verità, potendoci mettere nelle mani gli uni degli altri, forse qualche cosa del cristianesimo potremmo ritornare a capire.

L’uomo non ha natura, non è ciò che è. Una pianta è ciò che è; un animale è ciò che è; l’uomo è ciò che diventa. Ciò che diventa dipende dalla nostra libertà che ci distingue dall’animale. Qualcuno preferisce gli animali perché creano meno problemi, cosa che in molti casi è vera, ma non è cosa umana. Nella libertà dell’uomo nascono i guai perché noi sperimentiamo in noi stessi la durezza della pietra, l’immobilità della pianta, il guizzo del serpente, il volo dell’uccello, la tenerezza del mammifero, la sua aggressività. Noi abbiamo dentro tutto, quel tutto che rischia continuamente di governare l’uomo. Uomo che diventa ciò di cui è governato e ciò da cui siamo governati ci rende simile a lui. Se siamo governati da animali diveniamo animali; se siamo governati dalle macchine diventiamo macchine.

Se noi cominciamo ad ascoltare la voce di Dio in noi, sì perché c’è anche quella, noi diventiamo Dio. L’uomo, detto in altre parole, diventa la voce che ascolta. Fino a che Levi ascolta il tintinnio dei soldi, diventa soldo; quando ascolta la voce di Gesù che passa, diventa Gesù. In noi ci sono miriadi di voci, direi che ci sono tutte le voci. Possiamo chiederci quale è la voce che ci fa ritornare alla nostra casa? Quella casa che è la casa dell’amore verso cui il paralitico è chiamato a camminare e che è Dio, l’Infinito a cui Levi è chiamato dalla voce di Gesù. Si alza e lo segue, da buon paralitico perdonato.

Il centro della nostra esperienza cristiana, cosa che noi continuamente rischiamo di rifiutare, è riconoscerci peccatori e accogliere il dono del perdono.

Non ci interessano i santi: ci sono ma lasciamoli là, c’entrano bene poco con la nostra vita anche quando li riteniamo capitalisti della grazia a cui chiedere grazie e aiuti. Smettiamola di interessarci dei risultati. È tempo che ascoltiamo i nostri movimenti interni e cominciamo a scegliere se continuare a seguire l’ultimo impulso che ci viene oppure se cominciare a scegliere quello che fa bene a noi e al prossimo.

Il perdono ci libera dalla schiavitù dei risultati, dalla comica dei meriti e ci porta in una dimensione di libertà profondamente umana e profondamente aperta alla libertà di scegliere. Fino a che la nostra identità dipende dai nostri meriti, siamo dei poveri grami che debbono nascondere la propria povertà per mostrare una verità che non c’è.

La chiamata di Levi ci dice che la chiamata è per tutti, perché Gesù i peccatori è venuto a chiamare, non i cosiddetti giusti. I cosiddetti giusti sono in lista d’attesa, perché la salvezza è concessa a chi si riconosce come tutti gli altri peccatore e sperimenta il perdono. È un dato di realismo immerso nel mare dell’amore misericordioso del Padre che, in quanto Madre, ci rigenera a vita nuova, ogni giorno!

L’esperienza cristiana, in altre parole, non è cosa per uomini eccelsi, non è roba per santi, non è cosa per i giusti, per persone particolarmente brave. L’esperienza cristiana è fatta per l’uomo così come è fatto, nella sua verità, coi suoi limiti e i suoi difetti, coi suoi fallimenti e i suoi peccati.

In altre parole Gesù che chiama Levi e si siede a tavola con pubblicani e peccatori ci dice che: l’uomo vero, quello reale, è chiamato a seguire il cammino della vita e non è un uomo particolarmente bravo o ideale.

Fonte

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI


Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 2, 13-17 In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Parola del Signore

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