p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 16 Gennaio 2020

Un escluso che non ha nessuno che lo protegga, che non ha nessuno che lo presenti a Gesù. Un escluso dalla società, un escluso dalla comunità, che prende l’iniziativa e prega Gesù. Supplica e si mette in ginocchio: due atteggiamenti oranti. La supplica che nasce da una presa di coscienza di ciò che noi siamo: lebbrosi. Senza questa presa di coscienza non ci può essere né preghiera né supplica, al massimo ci sono preghiere dette con spirito farisaico dove noi siamo gli “a posto” e gli altri no. Questo lebbroso prende l’iniziativa, chi gli ha dato il permesso diremmo noi, supplica e si mette in ginocchio chiedendo purificazione.

La preghiera è un atto di presa di coscienza di ciò che siamo ed è un atto di umiltà dove noi ci poniamo davanti al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Da soli o in comunità questo noi siamo chiamati a vivere ogni mattino. Stare davanti a Dio in ginocchio per stare in piedi davanti ai potenti è atto di preghiera e di umiltà altamente umanizzante.

Questo lebbroso, che nome avrà mai avuto, chiede facendo una professione di fede: cade in ginocchio, prega, chiede, “se vuoi puoi purificarmi”. Preghiera che muove Gesù alla compassione, Gesù si lascia toccare da questo lebbroso, non fugge, non gli proibisce di farlo: si lascia toccare dentro, nel cuore, nella vita. Gesù si lascia toccare e tocca l’intoccabile.

La compassione e il toccare l’intoccabile forse è un movimento vitale che dovremmo ritornare a riscoprire. Siamo troppo propensi a fuggire dal lebbroso di turno, siamo troppo portati a voltare l’angolo di fronte ai problemi della vita che “non ci riguardano”. Il rifuggire i problemi della vita che non ci riguardano è una falsità che uccide la vita. Non c’è problema della vita che non mi tocchi. Dire che non è problema mio e che riguarda l’altro è un modo per avvelenarci la vita. Non possiamo rinchiuderci sotto una campana di vetro per isolarci e per difenderci dal resto del mondo. Ma io che cosa ci posso fare?, ci diciamo. È vero di fronte a molte problematiche noi possiamo ben poco, ma quel poco se non lo facciamo rimane in sospeso. Interessarci delle problematiche uscendo dalle false sicurezze che ci siamo costruiti, significa incontrare la vita. La paura di non potere risolvere certe problematiche è una paura che noi usiamo per non farci toccare e per non toccare il lebbroso di turno. Non è centrale, anche se ha una sua importanza, che noi risolviamo i problemi; è essenziale che noi ci lasciamo avvicinare dai problemi e ci lasciamo toccare scegliendo a nostra volta di toccare il lebbroso. La compassione che il lebbroso suscita in Gesù non è cosa secondaria. La compassione è linfa vitale per la vita del mondo mio e altrui. Senza compassione troppi rami dell’albero della vita seccano. Senza compassione manifestiamo tutta la nostra paura della vita vera, allontanandocene per paura e per una falsa sicurezza che inaridisce la mia esistenza.

La compassione è un atto di libertà dove mi permetto di lasciarmi toccare dalla lebbra e mi rendo libero di toccare la lebbra. Quando una persona è malata e tu, al telefono, gli dici che vai a trovarla, subito, al giorno d’oggi, ti dice che è malata, di aspettare quando sarà guarita e molti dicono che non vanno a trovarla perché è malata, magari ti passa il raffreddore. Questo è un modo disumano di trattare la vita. Visitare i malati e prendersi cura di loro non è un comando che ci dice: aspetta che sia guarito e poi andrai a visitarlo e ti prenderai cura di lui. Questo atteggiamento piccolo è ciò che di più pazzesco noi riusciamo a mettere in campo. I malati si visitano, dei malati ci si prende cura, quando sono malati non quando sono guariti o quando si sono redenti o quando sono usciti dal carcere dopo essersi redenti e avere pagato il debito con la società, cosa che solo i piccoli e i non potenti fanno.

La bellezza e la libertà di avvicinarsi alla lebbra, di lasciare che il lebbroso si avvicini a noi, di lasciare che io lebbroso sia vicino a me stesso; la bellezza e la libertà di avvicinarmi al lebbroso e di toccare è un atto di umanità che grida tutta la sua fede in Dio e nell’uomo. È una libertà di compassione che guarisce il nostro cuore e la vita altrui, la nostra vita e il cuore altrui. Non ci avviciniamo perché così siamo bravi ma semplicemente perché siamo umani. Non ci avviciniamo per guadagnare punti agli occhi degli uomini o per il paradiso, ci avviciniamo semplicemente perché questo è vita, Vita vera, Vita di fede.

Una vicinanza bella e sana che sanifica e ci lascia liberi: la lebbra scomparve, il lebbroso fu purificato e Gesù “ammonendolo severamente, lo cacciò via subito” dicendogli di stare zitto. È la bellezza della gratuità che non è figlia del regalo ma del dono. È la bellezza della gratuità dove ciò che importa non è acquisire potere attraverso le nostre belle e buone azioni, ma semplicemente vivere il bello e il buono perché rende la vita bella e buona.

Fonte

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI


La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 1, 40-45 In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. Parola del Signore

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