p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 13 Febbraio 2020

Odio, dunque sono! È tempo che ci rendiamo conto che questo è il vero motore della vita, dell’economia, della politica, dell’uso degli stranieri come dei nostri connazionali. L’importante è rispondere colpo su colpo, usando i giacimenti di cattiveria che troviamo nel nostro sottosuolo, per potere stigmatizzare, colpevolizzare, la cattiveria altrui dando giusto sfogo alla nostra.

Che ne facciamo noi che abbiamo questa convinzione non teorica ma pratica, di un episodio come quello di oggi? Oggi ci viene narrato un miracolo che è un miracolo di incontro. Fuori dai confini di Israele, un maestro ebreo e una donna pagana instaurano un dialogo dove alla fine si capiscono. Da questa comprensione scaturisce guarigione e pienezza di vita. Noi, gente pieni di bibbia e di rabbia, che ci scagliamo contro chi, in modo bello e pulito, porta il Cantico dei Cantici sul palco di Sanremo, non riusciamo più ad incontrare né gente dei nostri né gente straniera semplicemente perché siamo preoccupati non della vita ma di ciò che ci permette di odiare la vita degli altri perché non sono dei nostri, non sono cattolici veri, non difendono la famiglia come noi.

Il miracolo di quest’oggi è possibile semplicemente perché entrambe sono in uscita! Aperti all’ignoto che a noi fa tanto paura semplicemente perché diverso. Gesù lascia la sua terra e tutte le beghe sulla purità della legge, se ne va su di un suolo straniero, dimora in una terra estranea e impura. La donna lascia le proprie credenze per cercare guarigione laddove c’è. Chi se ne frega di ciò a cui credo, ciò che importa è la Vita, la vita di mia figlia.  Stranieri l’uno all’altro si incontrano. Passano oltre, vanno oltre la linea di demarcazione statale della paura dell’alterità che presuppone sempre la presunzione di essere nel giusto. Incontro che diventa vita e sconfitta della divisione mortifera che a noi piace tanto ma che è solo paura che porta morte.

Il protagonista di questa vicenda non è l’ebreo Gesù maestro e fondatore del cristianesimo; protagonista e artefice del miracolo dell’incontro e della guarigione è la donna. È lei che genera alla vita il proprio interlocutore, lo genera ad una nuova comprensione di sé. Lo genera ad una missione più vera perché universale e non preoccupata delle beghe sul puro o l’impuro.

Questa donna, chissà che nome aveva, è triplicemente impura: è femmina, è pagana, è alle prese con uno spirito impuro, però è madre, autenticamente madre: dona luce di vita ad un altro da sé che aveva parlato di questa vita fino al giorno prima, ma non l’aveva ancora concretizzata come la concretizza lei in Lui.

Lei aderisce a quanto Gesù le dice, non risponde all’odio con odio, non risponde colpo su colpo: accoglie il mondo di Gesù creando uno spazio di relazione e di dialogo. Nasce una relazione franca e trasparente, uno spazio di autenticità dove la donna conduce Gesù su di un monte di consapevolezza non teorica ma concreta, non di testa ma di cuore, inaspettata. Da sguardi diversi, da punti di partenza diversi, nasce il dialogo, dialogo che non è interessato a difendere una lettura della realtà contro un’altra ribattendo colpo su colpo, quanto invece ad una lettura in dialogo con sguardi altri. Il punto di vista della donna è stupendo: da sotto il tavolo, luogo riservato ai cani, vede che ci può essere pane per tutti; senza togliere il boccone di bocca a nessuno, tutti possono nutrirsi della salvezza del Padre, anche i non credenti!

L’umiltà sapiente della donna ribalta l’aggressività di Gesù facendo scaturire in Lui un discernimento nuovo: Lui si lascia lavorare dalla parola ricevuta, parola che diviene Parola. Gesù si lascia correggere e guidare dalla donna, accetta da lei una verità sulla propria esistenza: tutto questo è grande alla faccia di chi pensa che l’importante è dare o non dare il sacerdozio alle donne, col rischio che sia solo una questione di potere e non di vita. Ma la cosa più grande che questa donna dona a Gesù, chissà poi come si chiamava questa donna, che nome avrà avuto, è la capacità di scrutare oltre le parole, di discernere ciò che le genera: un profondo atto di fede!

Questa parola rivelata dalla donna a Gesù consente la guarigione della figlia che non è più una semplice straniera, ma un fiore di vita sbocciato nella regione di Tiro. La donna non si è scomposta, non si è ribellata al pregiudizio del Figlio di Dio: ha riconosciuto il proprio posto, lo ha accolto senza pretese, ha riposto la sua fiducia nel Maestro che non capiva, ha sentito in grande nel suo cuore portando anche il Rabbì a sentire in grande pur essendo fuori dai confini del suo paese.

Gesù e la donna: due così lontani non esistevano, due così stranieri. Avevano una cosa in comune: la capacità di andare oltre se stessi e di ascoltare vivendo la bellezza del cambiamento. Accogliamo questi due maestri di umanità: è bello fiduciare chi ci sta davanti, dona vita, fa sbocciare un fiore fra le rocce. Non mi interessa l’appartenenza religiosa o politica, al puro o all’impuro, mi interessa quella fiducia che mette radici e dona vita alla pianta della vita.

Fonte

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI


I cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 7, 24-30 In quel tempo, Gesù andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.   Parola del Signore

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