p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 12 Agosto 2020

Il vangelo di oggi non è una concretizzazione ed esplicitazione del pensiero dell’uomo che si trova mille miglia lontano dal pensiero di Dio, ma è concretizzazione dell’amore misericordioso del Padre. Sapendo che i nostri pensieri non sono i pensieri di Dio e le sue vie non sono le nostre. La preoccupazione del Padre è, lo leggiamo nei versetti precedenti al vangelo di oggi, andare alla ricerca della pecora smarrita lasciando le altre novantanove sui monti. La ricerca della pecora smarrita ritrovata è motivo di festa, non di giudizio: questo è il desiderio del Padre nostro che è nei cieli.

A lui interessa avere cura del piccolo e di colui che non vale nulla. A Lui interessa Levi, il peccatore seduto al banco delle imposte, col quale fa festa a casa sua insieme a tutti i peccatori del suo entourage.

Per vivere questa passione del Padre per l’uomo è necessario un primo passo. Il passo è questo: definire la trave che c’è nell’occhio del nostro cuore che ci rende maggiormente attenti a scandali e a giudizi, piuttosto che ad una vita di misericordia. Al giorno d’oggi si legge sempre meno, ciò che va per la maggiore sono i giornali scandalistici che troviamo dal parrucchiere. Questo non è secondo il cuore di Dio e ci porta a vivere la nostra esistenza con un atteggiamento giudicante verso l’altro, non certo amante di misericordia. Si gioca sempre più al rialzo e chi la spara più grossa contro l’altro e manifesta tutta la sua sfiducia nella vita cercando morbosamente lo scandalo nel rapporto con l’altro, sembra essere il più bravo. Forse secondo il pensiero degli uomini, senz’altro non secondo il pensiero di Dio.

L’ammonimento verso il fratello giunge al culmine del cammino di conversione nostro. Non è il punto di partenza ma il punto di arrivo. Solo se convertiti saremo capaci di andare alla ricerca della pecora smarrita sui monti o nel deserto. Diversamente andremo in giro solo ad alimentare la nostra pruriginosità e il nostro bisogno di scandali per non guardare la trave che c’è nel nostro occhio. Il punto non è la condanna ma la salvezza. Se questo è vero allora è necessario accorgerci che noi andremo veramente ad incontrare il fratello solo se del fratello vivremo una accettazione incondizionata. Senza tale accettazione non c’è possibilità di correzione fraterna, vi è solo giudizio e condanna. A volte questo avviene anche nel sacramento della riconciliazione e nelle nostre eucaristie dove il nostro pensiero si sostituisce alla passione misericordiosa del Padre facendo guai e cercando solo cavilli che ci permettano di scomunicare il fratello errante. Senza accettazione incondizionata vi è solo contrapposizione tra critica malevola e indurimento difensivo. Solo nell’accoglienza del prossimo vi può essere la condizione per accettare una correzione, perché solo nella fraternità vi è correzione fraterna, fuori da essa vi è solo giudizio e condanna, solo aggressione.

Andare alla ricerca di chi è smarrito ha come scopo ultimo quello che lui non si perda e noi con lui perdendo il dono della fraternità. La correzione fraterna è cura e tenerezza, magari anche dura, ma vera tenerezza che esprime un desiderio profondo di guadagnare il fratello con tutti i mezzi di misericordia.

Liberaci dal male, o Padre: essere strumenti per questa liberazione comunitaria è correzione fraterna che nasce da un cuore buono e non arrabbiato. Per questo l’esclusione dell’altro non è né lo scopo né lo strumento della correzione fraterna. Lo scopo è la salvezza a tutti i costi e con tempi di maturazione che sono quelli di Dio Padre, non certo i nostri. Se crediamo che Cristo è amico dei pubblicani e dei peccatori e che loro va a cercare per primi, capiamo come questo passo di vangelo assuma una caratteristica totalmente diversa da quella di giudici e avvocati nostri contemporanei. Noi siamo inviati a salvare ciò che è perduto, non a decretarne la morte.

Gesù è il Bel Pastore, quello Buono, che desidera guadagnare i fratelli alla vita e dunque alla fraternità. Vale a dire che ci vuole guadagnare alla misericordia del Padre accogliendo noi peccatori e convincendoci del nostro peccato perché possiamo, da illuminati, ritornare a vedere ciò che è male e ciò che è bene, smettendola di chiamare bene ciò che è male e cercando di ricercare il bene in noi e per noi in comunione con i nostri fratelli di peccato. Noi che riteniamo di essere i giusti, siamo i più duri da convincere del nostro essere peccatori. A noi per primi il Signore si rivolge nella sua misericordia ingiusta secondo il nostro pensiero, infinita secondo il cuore di Dio.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
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