p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 11 Luglio 2019 – Mt 19, 27-29

Il vangelo odierno non è tanto un invito ad investire per avere il capitale indietro con gli interessi. Non è una propaganda allo stile bancario o capitalistico che sia e neppure liberale. Il vangelo odierno è Buona Notizia che ci invita a scegliere ciò che è buono, ad usare bene ciò che è buono, a non abusare di ciò che siamo e abbiamo, ad essere persone che scelgono l’essenziale ponendolo al primo posto.

Innanzitutto vengono messi sul piatto della vita i beni. Questi beni sono certamente i beni materiali ma sono anche e soprattutto i beni personali. Siamo noi con le nostre qualità, con la nostra sensibilità, con la nostra volontà, coi nostri desideri. Questi beni sono il nostro tempo e le nostre forze, le nostre energie e le nostre consapevolezze. Tutte cose buone ma che rischiano sempre di essere inficiate dalla dinamica del possesso.

Tutti questi beni il Signore ci invita a perderli, vale a dire a spenderli per il bene della vita. Questi beni accumulati sono la disgrazia del mondo. Questi beni donati sono grazia per il mondo. E tutti noi, poveri e ricchi, viviamo nello stesso mondo, mettiamocelo bene in testa.

I beni come oggetto di accumulo diventano pretesto di dominio sia privato che collettivo. Così le nostre qualità le mettiamo a servizio del miglior offerente o le viviamo come offerta? La nostra sensibilità la usiamo per controllare lui o lei o la viviamo per esprimere dono e amore? La nostra volontà è tutta orientata a vivere per lavorare o riusciamo a giocarcela per vivere? Il nostro tempo è sempre più pieno di cose e affollato con realtà che chiedono vita oppure lo viviamo come luogo di incontro, come dono che ci facciamo gli uni gli altri? Le nostre forze per che cosa le spendiamo e come giochiamo le nostre energie sempre più assorbite dalle nostre ansie e sempre meno vissute come realtà umana? Le nostre consapevolezze le usiamo per contemplare il nostro ombelico o le viviamo per essere maggiormente dono, le usiamo per dominare gli altri in un corpo e una mente sempre più contratti in una non vita e in un ambito sempre più isolato in un’isola felice, o diventano motore per un dono sempre più vero, per un giocarci nella vita smettendo di giocare alla e con la vita?

I beni sono oggetto di uso, un uso che è personale e collettivo. Quando diventano il fine della nostra attenzione e azione, ci disumanizzano e ci fanno regredire come singoli e come società.

Possedere e accumulare è distruzione del creato: tutto questo è sotto i nostri occhi ogni giorno. Ciò che è peggio è che da questa schiavitù non riusciamo a liberarcene ma, soprattutto, non la riteniamo schiavitù ma la chiamiamo vita. Oltre che distruggere il creato questo modo di trattare i beni inquina e distrugge non solo il creato ma anche la fraternità, la comunione, la relazione fra uomo e donna. A questo punto meglio dire che non vi è differenza di genere e non esiste più né padre né madre ma solo il genitore, negando così ogni identità e ogni umanità.

Ne consegue un’altra distruzione quella del nostro rapporto con Dio che è aborrito come Padre, guai a chiamare padre un uomo che ha un figlio. Così possiamo cogliere quanto ci dice Paolo: “La brama di ricchezza è il principio di tutti i mali ed è vera idolatria” (1Timoteo 6, 10; Colossesi 3,5).

Diventa ancor più importante, a questo punto, uscire dalla dinamica idolatrica che ci porta ad interpretare questo brano del vangelo come il brano che dice che noi riceviamo di più se investiamo di più. Rinunciamo alle cose e ne riceviamo il centuplo qui e nell’eternità. Un modo di intendere il vangelo aberrante e anti evangelico. Gesù non parla di un semplice ricambio logistico e geografico riguardante i nostri beni. Non ricevo il centuplo delle cose che lascio. Il cambio è un cambio qualitativo. A noi viene regalato qualcosa che è qualitativamente diverso, che ci porta a vivere un rapporto diverso col creato e col prossimo, oltre che con Dio Padre. È una qualità nuova che ci porta a vivere una diversità radicale in rapporto alle cose e alle persone.

Seguire Gesù perché convinti da Lui e di Lui scaturisce da un affetto per Lui e per la vita. È ricerca di vita vera, umana e umanizzante. È radicalizzazione di un investire tutto ciò che siamo e abbiamo per vivere rapporti più veri con le cose e le persone. Il centuplo scaturisce da qui e a questo bene di beni si riferisce.

Possiamo dirci, se comperiamo un terreno o una casa o una macchina, che sono miei! Cosa logica e naturale. Oppure possiamo guardarci in giro e dire di tutto e di tutti: sono miei fratelli, sono mie sorelle. Così con san Francesco possiamo cantare il cantico delle creature dove tutto è sorella e fratello, non più cose da possedere e persone da dominare. Semplicemente vita da amare per essere da lei, di conseguenza, amati al centuplo.

Ne scaturisce un qualcosa di diverso, un di più qualitativo non quantitativo, un relazionarci più vero.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

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Voi che mi avete seguito, riceverete cento volte tanto.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 19, 27-29

In quel tempo, Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Parola del Signore.

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