p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 1 Marzo 2019

Uno può fare l’attore ed essere vero, oppure può recitare semplicemente una parte. Un attore vero è colui che si cala talmente nella parte del protagonista da diventare come lo stesso protagonista, avere gli stessi sentimenti, lasciarsi toccare dagli stessi pensieri.

Uno può fare l’imprenditore e mettere tutta la sua vita lì dentro, sentendo sua opera quanto fa. Oppure uno può fare il professionista, il manager e recitare una parte: non è roba sua, l’importante non è che l’opera cresca ma che si salvi lui, sempre e comunque.

La stessa cosa vale per uno che fa il prete, il medico, l’assistente sociale, il politico, e chi più ne ha più ne metta.

“Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro”, dice il Siracide, ma la parola amico non è sufficiente per comprendere la verità di ciò che siamo. Continua infatti lo stesso Ben Sira dicendo che c’è l’amico di quando gli fa comodo, oppure l’amico a tavola che non resiste nel giorno della tua sventura.

“Se vuoi farti un amico, mettilo alla prova e non fidarti subito di lui”.

L’invito non è un invito al pessimismo, quanto invece un invito ad andare oltre le apparenze e ai nomi altisonanti di professioni che di professionale hanno ben poco. È un richiamo, inoltre, a vivere tutto quello che viviamo, che sia fede o lavoro, rapporti e amicizie, convivenze o nozze, tenendo presente che siamo chiamati a vivere tutto questo come espressione di quello che siamo, non di quello che vorremmo fare per ottenere chissà quali riconoscimenti.

I riconoscimenti sono dei selfies che chiudono al rapporto creando quella distanza che mi permette di non farmi vedere per quello che sono, mostrando solo quello che appare bene magari con qualche ritocco grazie a quello che riescono a fare quelle macchinette.

Siamo chiamati a rifletterci nello specchio guardando chi siamo, così come siamo, nudi come Dio ci ha creati. Ri-flettere la nostra persona nello specchio non per truccarci ma per amarci per quello che siamo in verità, è la via della vita che rende possibile ogni rapporto di amicizia o di sponsalità che vogliamo. L’adulterare le cose è una azione che a noi umani viene bene, ma non sempre è cosa buona, anzi spesso è cosa che rovina quanto il Signore ci ha dato. Un mulo è animale forte che serve a lavorare e può arrivare anche in cima alle alpi aiutando gli alpini a fare la guerra, ma un mulo non potrà mai dare la vita perché è stato reso tale dagli uomini.

La durezza di cuore indica chiusura nei confronti della vita nostra e di Dio. Preferiamo rinchiuderci in una stanza col nostro computer giorno e notte, piuttosto che sederci al parco ad incontrare chi passa di là. Preferiamo baciare un cagnolino piuttosto che comprometterci in un bacio relazionale dove noi siamo chiamati a venire alla vita.

La durezza del cuore si manifesta in una chiusura che si appaga del possesso di sé e degli altri. Non mi specchio per vedermi, mi faccio un selfies per truccarmi. Tale chiusura preclude ogni possibilità di accoglienza. Noi pensiamo che tale chiusura, nei confronti di noi stessi e dell’altro, sia esso straniero o italiano poco importa, sia una grande furbata, mentre in realtà è un castrarci divenendo come i buoi: lavorano bene ma non possono dare vita perché castrati.

La condizione naturale dell’uomo, che dovremmo cercare di vedere allo specchio, è dare la propria vita per salvarla. L’espansione del proprio io e del noi, avviene solo nel dono e nell’amore, non nell’adulterare le cose e le relazioni condannandoci ad una eterna adolescenza.

Non ci interessa la legge sul divorzio e quella sull’amicizia che dice solo che ti aiuto se sei dei nostri. Amare non per possedere e dominare, ma amare per essere. Con tutti i limiti del caso, con tutti i tradimenti possibili, ma anche con la consapevolezza che lì siamo chiamati a tornare se vogliamo essere vivi; se vogliamo essere veri attori che non recitano una parte ma che sono una parte.

Non spaventiamoci né dei nostri tradimenti né del non riuscire in certi campi, è cosa naturale. Chiediamo invece di smetterla di discutere su ciò che è lecito oppure no: serve solo a non guardare il problema. Guardiamoci allo specchio, entriamo nella parte di quello che siamo e che siamo chiamati a diventare. Lasciamo la convinzione che noi siamo ciò che facciamo. Dalla verità del nostro sguardo e della nostra vicinanza alla vita, noi potremo scorgere la bellezza dell’amicizia e della relazione sponsale, semplicemente non perché saremo perfetti ma perché saremo veri. Gente che si specchia non per truccarsi ma semplicemente per vedersi come è.

Commento a cura di p. Giovanni Nicoli.

Fonte – Scuola Apostolica Sacro Cuore

Vangelo del giorno:

Mc 10, 1-12
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare.
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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