p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 1 Giugno 2020

Finalmente la sete di sangue che pervade il nostro cuore giunge a compimento. Chi ha voluto la morte per mantenere il possesso del proprio potere e si mostra preoccupato di salvare le apparenze della festa durante la quale non è bene che dei cadaveri rimangano esposti, viene alla luce. Non è bene vedere i cadaveri per non rovinare la festa, mentre non c’è problema nell’avere prodotto dei cadaveri per la nostra sete di sangue coperta dalle più belle intenzioni. È giusta la morte data per difendere le nostre cose, è bene che prima pensiamo a noi e poi agli altri, è bene che difendiamo le nostre coste non guardando i cadaveri che galleggiano e, magari, pregando per loro col rosario in mano. Diamine, salviamo almeno le apparenze.

Quando le cose, cosa che avviene continuamente, hanno più valore delle persone, i bisogni delle cose diventano presto o tardi bisogno di sangue. Fino a che il nostro concetto di libertà è moltiplicazione e soddisfazione di bisogni sempre più numerosi e più grandi, la nostra umanità sarà sempre stravolta ingenerando in noi una moltitudine di insensati e stupidi bisogni scambiati per desideri, di insulse abitudini e fantasie: non ci rimane che vivere per l’invidia. Le cose e l’ubriacatura ingenerata dalle stesse, lascerà ben presto un’ubriacatura, un bisogno di sangue ben velato da un bisogno di giustizia dove io e le mie cose valgo più di ogni vita e di ogni persona che non sia mia o dei miei.

Credo proprio che sia tempo di ritornare col cuore all’obbedienza a Dio che è Padre. È tempo di digiuno dalla moltiplicazione inutile di cose cercando il meno, la demoltiplicazione, e lasciando il più: la moltiplicazione disumanizzante che chiede ferocemente sangue. Abbiamo bisogno di ritornare alla preghiera come gesto primo di amore verso il Padre e i fratelli.

Gesù lascia tutto, lascia la vita, lascia questo mondo, spossessato di tutto, anche della madre, alla fine. Di fronte a Lui vi sono i nemici, accanto a Lui stanno gli amici. Quattro donne, tra cui la madre, e il discepolo amato.

Gesù pensa alla madre che sta perdendo Lui, Colui che lei ama. Pensa al discepolo che perde Colui che lo ama. Sa che è giunta l’ora di lasciare entrambe e, con la sua capacità di lasciare, crea un ponte. Colui che è amato da Lui è dato come figlio amato dalla madre che amava Cristo. La madre vien data al discepolo come colei che ama. Per questo dà alla madre il discepolo come figlio amato e dà al discepolo come madre la propria madre che ama.

Il discepolo rappresenta tutti noi che diventiamo fratelli di Gesù, figli dello stesso Padre.

Così la morte non diventa separazione estrema, non diventa perdita o solo perdita, diventa consegna, diventa comunione piena. Il consegnare e il lasciare invece del prendere e del moltiplicare i nostri bisogni, diventa un digiuno dalle cose che ci porta ad avere di nuovo fame del Pane vero disceso dal cielo, ad avere fame di vita e di umanità, riaprendo in tal modo la via alla gioia.

Ai piedi della croce, in una situazione che noi riteniamo disperata e cosa da evitare chiudendoci nelle false sicurezze dei nostri cenacoli di cose inutili e disumanizzanti, c’è l’incontro tra amore amante e amore amato: più bello di così! L’amore amato e l’amore amante, la madre e il discepolo, diventano motivo di continuazione della vita del Figlio in noi e per noi. Viene superata anche la barriera della morte vivendo la vita vera che è obbedienza al Padre vivendo da figli, che è digiuno dalla distruzione del mondo con la moltiplicazione di cose e bisogni, con la vita di preghiera che è fare all’amore con Dio e coi fratelli, in un abbraccio vitale che tutto comprende e non ha bisogno di escludere nessuno, non necessita più di indifferenza, non ha bisogno di bere il sangue di nessuno per essere vivo e in vita.

È il tempo oggi in cui tutto è compiuto perché nasce finalmente oggi sulla terra ciò che da sempre c’è in Dio.


AUTORE: p. Giovanni Nicoli 
FONTE: Scuola Apostolica
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