Mons. Costantino Di Bruno – Commento al Vangelo del 28 Agosto 2021

748

Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.

Questa parabola di Gesù rivela in modo solenne qual è la vera vita che dobbiamo dare alla nostra fede: mettere  a frutto i beni del padrone. Beni del padrone sono la verità, la grazia, la luce, il Vangelo, la Parola, ogni dono particolare di grazia, ogni missione e vocazione, ogni speciale conformazione sacramentale a Cristo. Se il Vangelo, la verità, la luce, la Parola sono per tutti uguali, per tutti uguali non sono i doni personali e i doni sacramentali. Un vescovo deve produrre opere da vescovo. Un papa da papa. Un cresimato da cresimato. Ognuno deve produrre secondo la sua natura conformata a Cristo. Questa conformazione differisce da sacramento a sacramento. Ma anche ognuno deve produrre secondo i particolari carismi a lui conferiti dallo Spirito Santo. Il Signore non chiede al cristiano di fare il bene. Gli chiede di mettere a frutto i suoi beni. Questa verità che distingue bene da bene, mai dovrà essere dimenticata, altrimenti è la confusione. Ogni albero produce secondo natura. I beni sono del padrone. I beni del padrone vanno messi a frutto, non altri. I beni del padrone non possono essere sostituiti. Se i cristiani credessero in questa verità, sparirebbe nella Chiesa ogni confusione. Finirebbe ogni autarchia. Ognuno inizierebbe a interrogarsi seriamente sui beni ricevuti perché solo essi vanno messi a frutto. Non si dipenderebbe da nessuna volontà umana, perché si saprebbe qual è il fine di ogni sacramento, ogni grazia, ogni ministero, ogni carisma, ogni vocazione, ogni missione.

Dettaglio essenziale della parabola: il padrone non dona a tutti la stessa quantità di beni da mettere a frutto. A uno dona cinque talenti. A un altro ne dona due. Ad un altro uno. Il dono è fatto secondo le capacità di ciascuno.  In questo si attesta la perfetta giustizia di Dio. Lui non dona oltre le nostre capacità. Non chiede oltre le nostre forze. Non domanda se non quello che è giusto. Ecco cosa accade: Colui che aveva ricevuto un solo talento, neanche prova a impiegarlo. Va a fare una buca nel terreno e vi nasconde il denaro del suo padrone. Lo riceve. Lo nasconde. Non lo impiega, disobbedendo alla volontà del padrone. La volontà del padrone non è quella di tenere in custodia i suoi beni. È invece quella di farli fruttificare. Questo terzo servo disattende completamente la volontà del padrone. Neanche potrà dire: “Ho provato, ma non ci sono riuscito”.

- Pubblicità -

Viene però il giorno del rendimento dei conti. I primi due vengono lodati e premiati dal padrone. Colui che aveva nascosto il talento nella terra dove trova la giustificazione? Nel suo padrone. È lui il responsabile del suo non impiego. Le sue giustificazioni vanno attentamente studiate, esaminate: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”. Questa accusa di durezza è falsa. Si noti la magnanimità del padrone. Il padrone non ha imposto nessuna norma, nessun regola. Neanche ha fissato un tetto. Li ha lasciati pienamente liberi. Le sue parole sono inequivocabili: Impiegateli fino al mio ritorno. Ad ognuno ha dato secondo le sue capacità. Neanche ha forzato la loro natura, donando di più di quanto ognuno avesse potuto mettere a frutto. Forse è vero che lui miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso? Neanche questa accusa regge. Il padrone ha dato il seme da seminare e anche la terra. È una giustificazione fondata sulla falsità. L’uomo è pronto a gettare sul Signore la colpa di ogni sua disobbedienza. Oggi non diciamo che la sua Legge è pesante? Non affermiamo che l’uomo ha bisogno di leggi più morbide? Che Dio è così clemente da neanche vedere le nostre colpe? O al negativo o al positivo la responsabilità della nostra immoralità è sempre del Signore nostro Dio.

Contro la disobbedienza non ci sono giustificazioni. Il rapporto tra padrone e servo non è nella mente, nel cuore, nei desideri, nei pensieri. È solo un rapporto di volontà. Lui comanda, tu obbedisci. Lui ordina, tu esegui. Mente, cuore, desideri, pensieri, sentimenti, devono essere posti a servizio dell’obbedienza, mai contro l’obbedienza. Il comando lo può dichiarare nullo solo colui che lo ha donato. Neanche gli Angeli di Dio hanno questo potere. Tutti i collaboratori di Dio nell’opera della salvezza hanno un solo ministero: devono aiutare ogni uomo a camminare nell’obbedienza, non solo dicendo la Legge del Signore, ma anche vivendola, osservandola, mostrando e insegnando come essa si vive.

LEGGIAMO IL TESTO DI Mt 25,14-30

Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Quando il Signore ci fa un dono, per noi è obbligatorio portarlo a fruttificazione. L’obbedienza non è solo affidata alla volontà, ma anche alla scienza, all’esperienza, alla conoscenza, al consiglio, alle modalità del tempo. L’obbedienza è al comando. Il padrone non ha indicato modalità precise. Le modalità sono della sapienza, dell’intelligenza, della scienza. Sono dello Spirito Santo al quale sempre si deve chiedere che ce le indichi momento per momento. Il servo è malvagio perché pensa male del suo padrone. È pigro perché nulla ha fatto per far fruttificare il talento. È talmente pigro che neanche ha pensato che avrebbe potuto portare ai banchieri il denaro anziché sotterrarlo. La pigrizia della mente è la peggiore di tutte le pigrizie. Si è talmente fannulloni, che non si ha la capacità mentale neanche di pensare un qualche bene.

Ora il padrone dona la sanzione dovuta al servo pigro, infingardo e fannullone. Per prima cosa dà l’ordine che gli venga tolto il talento e dato a chi ha dieci talenti. Il frutto dei talenti non va al padrone, rimane a colui che lo ha prodotto. Questo significa che ogni dono da noi messo a frutto produce i suoi frutti prima di tutto per noi. Producendo per noi, guadagna anime a Dio, al Cielo, a Cristo Gesù. Altra verità ci dice che più noi produciamo e più il Signore ci arricchisce con nuove grazie, nuovi doni. Poco lavoriamo, poco ci arricchiamo. Poco ci arricchiamo, poco produciamo. La sanzione non è solo la privazione del talento, è anche la perdita dello stato di servo. Quanti hanno lavorato da servi sono stati elevati a familiari del padrone. Sono stati accolti nella sua gioia. Quest’uomo invece è tolto dalla presenza del suo padrone. Non ha obbedito. Non c’è posto per lui nella sua casa. Se il Vangelo è vero, tutte le teorie sulla vita eterna di oggi sono pura menzogna. Siamo avvisati. Si è esclusi perché si è fatto il male, ma anche perché non si è fatto il bene. La Madre nostra celeste ci aiuti a vivere di pura obbedienza. Amen.

Fonte@MonsDiBruno

Nota: Questo commento al Vangelo è gratuito pertanto l’autore non autorizza un fine diverso dalla gratuità.