Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 7 Novembre 2020

“Nessun domestico può servire due signori” (v. 13). Abitando il mio tempo, di chi mi faccio servo? Nelle piccole e grandi scelte di ogni giorno, a quale signore guardo e mi attacco? Anche le cose di poco conto sono determinanti: determinano a poco a poco una liberazione o un asservimento, liberano o imbavagliano la capacità di esprimersi per cose più importanti, ossia non solo di pronunciarsi su questo o su quello, bensì più radicalmente di scegliere chi vogliamo essere.

Per mettere a fuoco questa alternativa radicale, concentriamoci sulla prima parte del brano (un testo composito, che nella seconda presenta detti di varia provenienza). All’inizio il v. 9, che è ancora un commento sulla parabola precedente, introduce una riflessione sulla ricchezza: per scorgere quella vera c’è da riconoscere l’inganno del dio denaro. Al v. 14 si rimarca la reazione dei farisei, sottolineando intenzionalmente – con una generalizzazione indebita – “che erano attaccati al denaro”. Io quali attaccamenti vivo? Servono al vero bene o nascondono un inganno?

“Non potete servire Dio e la ricchezza” (v. 13): quella “ricchezza disonesta” che sa di ingiustizia, come nel caso dell’amministratore del vangelo di ieri, lodato infatti non per la sua disonestà ma per la sua scaltrezza. Il modo in cui gestiamo gli affari correnti dice l’apertura al vero bene, che si dà nello spazio di relazioni in cui non posso ignorare il povero che giace alla mia porta (cf. la parabola che segue immediatamente). È sufficiente osservarci vivere nelle piccole cose quotidiane, perché “chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto” (v. 10).

A chi o a che cosa scelgo di votare me stesso, credendo di arricchirmi e invece impoverendo la mia umanità? Quale “ricchezza” si erge a idolo, nemico di Dio perché nemico dell’essere umano? Sappiamo che qui è designata con il termine “mammona”, una divinità che prende sempre nuova consistenza nella misura in cui la faccio esistere, accordandole fede e sostentandomi di essa. Non a caso porta un nome riconducibile alla stessa radice da cui viene il nostro “amen” o, come qualcuno propone, al “nutrirsi”. Il vangelo ci chiede di verificare a chi vanno i nostri amen, cioè in che cosa mettiamo fiducia e che cosa ci nutre.

Per scegliere ciò in cui trovare consistenza, riconosciamo a quale mammona siamo attaccati… Se non sono il denaro e i beni che ci fanno credere di essere ciò che possediamo, potrebbero essere i gettoni che gratificano il nostro narcisismo facendoci credere di essere la maschera dietro cui ci nascondiamo. Gettoni che ci identificano con i successi per i quali ci esaltiamo davanti agli uomini, ma Dio conosce i nostri cuori (cf. v. 15). Gettoni cui avidamente sacrifichiamo tutto, nei diversi ambiti della nostra vita, da quello professionale a quello sentimentale, accumulando però per noi stessi senza arricchire presso Dio (cf. Lc 12,21).

Sì, il bisogno di essere riconosciuti e vivere d’amore ci mette in relazione, ma non riduciamoci a funzionare come macchine a gettoni. Quando questi vengono a mancare, che cosa resta? Dove potremo ritrovare noi stessi, chi ci accoglierà?

“Ora, dunque, temete il Signore e servitelo con integrità e fedeltà. Eliminate gli dèi che i vostri padri hanno servito … e servite il Signore” (Gs 24,14).

fratel Fabio


Fonte

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