Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 28 Luglio 2020

Gesù in questi giorni ci sta donando tante parole, insegnamenti dati per immagini, che ci colpiscono ma a volte risultano oscuri ai nostri orecchi e al nostro cuore. Oggi gli stessi discepoli hanno bisogno di fermarsi, in un luogo raccolto, nella casa: luogo dell’intimità di Gesù con i suoi, con coloro ai quali “è datò conoscere i misteri del regno di Dio” (Mt 13,11). All’interno essi chiedono di ricevere una parola in più, la parola di “spiegazione” (cf. v. 36): una parola che renda più comprensibile per loro le immagini delle parabole. Desiderano capir e Gesù non nega, non ci nega, una parola chiara, di insegnamento, e prontamente dona loro ciò di cui hanno bisogno.

Come già per la parabola del seminatore, Gesù scioglie per i suoi discepoli un’altra parabola densa di immagini, quella del grano e della zizzania. Se nella parabola in origine la domanda era “Da dove viene la zizzania?” (Mt 13,27), ora Gesù ci fa spostare lo sguardo. Gesù rimanda alla mietitura, “la fine del mondo” (v. 39), il compimento del tempo, il giudizio del bene e del male, e nel presente fissa il suo sguardo sulla nostra identità di figli, su chi siamo nel campo del mondo.

Quali “figli” siamo? Figli del “Figlio” o del nemico? Perché vi è il buon seme, seminato dal “Figlio dell’uomo” (v. 38), che sono i figli del Regno, e poi vi è la zizzania, “i figli del Maligno”, seminati non dal Figlio ma dal nemico. Entrambi continuano a seminare: l’uno semina vie di bene, di comunione, di solidarietà, di vicinanza, di cura, di attenzione, l’altro semina separazione, vie di discordia, di violenza, di indifferenza, di cattiveria, di egoismo. Sono chiaramente due vie ben distinte, diverse, ma si mescolano nel “campo che è il mondo” (cf. v. 38), il cuore di ciascuno di noi. Nonostante la forza vitale del vangelo, il nemico continua ad avere un’estrema forza nel seme di male che seminato cresce e si diffonde, perché trova il terreno nel quale crescere.

Nel campo la nostra identità di figli ha la possibilità di crescere, ma cresce ambigua: i semi seminati dal Figlio e dal nemico si mescolano. Gesù spiegando ci chiama alla vigilanza proprio su questa coesistenza in noi dei diversi semi che lasciamo crescere e ci rimanda all’oggi, il presente, come il tempo di piccole e personali mietiture. Personali perché è sul campo del nostro cuore che noi possiamo tentare di lavorare e sradicare il seme della zizzania, per il resto giungerà un tempo altro. Ora è il tempo della quotidiana e personalissima scelta tra l’una e l’altra via, tra il Figlio e il nemico, su questo possiamo esercitarci continuamente a discernere. Gesù ci invita quindi a scegliere quale relazione filiale curare, quali figli vogliamo essere, ci chiede di impegnarci ad “ascoltare” (cf. v. 43) la parola del vangelo che ci viene dal Figlio. Figlio che ha saputo coltivare la relazione con il Padre e nella parola del quale troviamo ciò che può farci crescere come figli dello stesso Padre. Nell’ambiguità del campo in cui tutti i semi trovano spazio, la filialità a immagine di Gesù può crescere per giungere a portare frutti che solo alla fine saranno rivelati, e può crescere all’interno di una cura costante della illuminante relazione con il Padre. La verità cui aneliamo, la nostra verità sarà rivelata solo alla fine, solo alla luce del Padre. Nell’oggi pazientiamo nel lento e faticoso lavoro di discernimento e di cura del nostro cuore per crescere sempre più come figli nel Figlio.

sorella Elisa


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