Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 26 Ottobre 2019

Interroghiamoci con sincerità: qual è la nostra reazione prima di fronte a un avvenimento catastrofico, un fatto delittuoso, una rappresaglia che sfocia nel sangue o un incidente calamitoso, una malattia inattesa, un lutto inaspettato, una morte improvvisa? Non è forse: “Perché?”. A questa prima domanda ne segue di rimando un’altra: “Perché a loro, a lui , a lei e non a me?”. Oppure, se in qualche maniera ne siamo coinvolti in prima persona: “Perché proprio a me? Che cosa ho fatto di male?”. Dal primo “perché” legittimo e salutare scaturisce una cascata di domande e relative risposte destrutturanti che ci sommerge nel cinismo della critica e dell’accusa degli altri o nell’angoscia dei sensi di colpa, e sempre ci toglie il respiro e la speranza, ci paralizza nelle lamentazioni e ci conduce alla rassegnazione o perfino alla disperazione.

Non sappiamo esattamente a quali episodi storici il brano evangelico di oggi faccia riferimento. Sembrano fatti di cronaca noti, di cui Gesù approfitta non per offrire un facile commento, non per dipanare un’interpretazione teologica “ad hoc”, ma per ammonirci e combattere il demone di chi si crede immune dal male e accusa perennemente gli altri: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (v. 3). L’esperienza della morte anche violenta, il lutto, la malattia possono essere per noi occasione per cambiare lo sguardo, per invertire la rotta della nostra vita, per cambiare concretamente, per riorientare la nostra esistenza. Il perché rimane aperto: guai a dare ermeneutiche grossolane e ideologiche del male, del dolore, della morte! Gesù è lontano da questa onnipresente tentazione. Ogni cosa che succede – e ogni cosa in qualche modo ci riguarda, mi riguarda – è occasione per esercitarsi alla conversione.

Nella parabola del fico senza frutti, la conversione assume i tratti di un’arte creativa che sa immaginare la bellezza lì dove c’è bruttezza, di un mestiere che esige sudore e fatica per leggere la realtà con fiducia e apertura al mistero della vita, di un apprendistato della pazienza, dell’attesa che non condanna, non elimina gli scarti, ma offre concrete e realistiche strade di impegno.

Un albero di fichi da tre anni non porta frutto. È “normale” pensare di tagliarlo, sopprimerlo, eliminarlo. Il contadino converte lo sguardo del padrone: al rumore e alla repentinità dell’abbattimento dell’albero preferisce investire le sue forze, le sue competenze e le sue cure per potenziare nella lentezza e nel silenzio le radici, zappando e concimando il terreno. Il contadino sa vedere oltre la sterilità, è mosso da una sana curiosità, da un vitale senso di sfida, dona tutto se stesso, compresi i suoi desideri e le sue speranze, perché la bellezza fiorisca e l’albero produca i frutti buoni.

 “Bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla … è importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto” dice Peppino Impastato, impegnato nella lotta alla mafia, in una bellissima scena del film “I cento passi” (2000) di Marco Tullio Giordana:

fratel Giandomenico

Fonte

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI

Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13, 1-9
 
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
 
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Parola del Signore

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