Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 24 Giugno 2020

È l’unico testimone del Nuovo Testamento di cui si narri la nascita, oltre a Gesù ovviamente, nato sei mesi dopo di lui. È l’unico santo, oltre a Maria, di cui la Chiesa celebri la natività, come fa dal IV secolo nella solennità odierna. Il Battista, il Precursore “profeta dell’Altissimo”, per Gesù “il più grande tra i nati di donna” (cf. Lc 1,76; 7,28), “lampada che arde e splende” dal Signore stesso preparata per il suo Cristo (cf. Gv 5,35; Sal 132,17).

 Giovanni, che significa “il Signore fa grazia”, sta sulla soglia tra antica e nuova alleanza, come Maria la “colmata di grazia”. I due, in modo diverso ma insieme, preparano il grembo sterile di Israele alla venuta della grazia nel Messia Gesù.

Siamo a un compimento dei tempi. Per Elisabetta si compie il tempo del parto, il figlio apre un varco e viene al mondo, precursore del compimento cantato nel martirologio per il Natale del Figlio che “volle santificare il mondo con la sua misericordiosa venuta”.

In ogni neonato una novità irriducibile viene al mondo e il Signore “manifesta la sua grande misericordia”. Ognuno di noi è nato e impara a stare al mondo per grazia, riceve il senso della sua esistenza nella gratuità di un amore che lo chiama per nome (cf. Is 49,1).

Un nome che è storia in divenire.
Da bambino, quando scrissi per la prima volta
il mio nome, ebbi coscienza di iniziare un libro
(Reb Stein, secondo Edmond Jabès).

Una storia, un libro che conosceranno un epilogo chiarificatore quando riceveremo quella “pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo” (Ap 2,17), ma che sono già rivelazione. Il nostro nome porta già, per così dire, una traccia del Nome ineffabile di Dio stesso, del fatto che “il Signore fa grazia” come in Giovanni, se ci fa cogliere la verità di noi stessi nell’amore gratuito.

In realtà, qui passano i giorni previsti per la circoncisione e già ci si è dimenticati che quel figlio nasce per grazia, da una coppia sterile di anziani. “Lo chiamavano con il nome di suo padre, Zaccaria” (cf. Lc 1,59): che cosa si impone spontaneamente? La scontata continuità, riproduzione dell’identico, misconoscimento della grazia. Ma poi ecco un nome nuovo, con l’accordo dei genitori – inatteso, ispirato –: è questo a destare la meraviglia, reazione tipica di fronte all’agire di Dio che fa miracoli quando suscita unanimità nel riconoscere la novità, nominare l’alterità, confessare la grazia.

Sappiamo riconoscere la grazia che visita la nostra sterilità? Come nominiamo gli eventi nei quali il Signore magnifica la sua misericordia? I soliti nomi, i soliti schemi, le solite letture… rischiano di vanificare la grazia.

“No, sarà chiamato Giovanni” (cf. Lc 1,60): la storia della salvezza ha bisogno di questo “no” di Elisabetta, come del “sì” di Maria. Questo “no” ha riconosciuto la vocazione peculiare di un figlio che allontanandosi dal padre Zaccaria, sacerdote nel tempio, sceglierà il deserto per preparare lì una via al Messia, chiamando a una novità di vita attraverso un battesimo diverso rispetto ai vecchi riti. Un figlio che anche dal padre imparerà a obbedire alla novità voluta da Dio: come Zaccaria, che rinuncia pure lui a imporre un nome preso tra i suoi secondo le consuetudini, così Giovanni saprà diminuire perché sia l’altro con la sua identità a crescere (cf. Gv 3,30). 

fratel Fabi


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