Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 23 Gennaio 2020

Una fiducia assoluta, determinata, immeritata, “cieca”. Inizia così la scena in cui Gesù solennemente crea, istituisce il gruppo dei dodici apostoli. Sul monte, il luogo biblico dell’elezione, dell’incontro di Dio con i suoi uomini, Gesù “chiamò a sé quelli che voleva” (v. 13). Alcuni di loro, cinque, li aveva visti e chiamati alla sua sequela poco tempo prima: i fratelli Simone e Andrea, visti e chiamati mentre gettavano le reti in mare (cf. Mc 1,16-18); i fratelli Giacomo e Giovanni, visti e chiamati mentre riparavano le reti sulla loro barca (cf. Mc 1,19); Matteo, visto al banco delle imposte e chiamato (cf. Mc 2,13). Già visti e già chiamati, già fatti oggetto di una scelta fiduciosa, ora questi sono ri-scelti con una fiducia rinnovata in loro. Poveri pescatori e un malvisto gabelliere diventano gli oggetti prescelti da Gesù attraverso una folle duplice elezione. Per gli altri sette possiamo supporre una medesima storia di fiducia, anche se l’evangelista Marco non ce la racconta.

Davvero “cieca”, questa fiducia nei dodici? L’imposizione di un nuovo nome a tre di loro – Simone, Giacomo e Giovanni – fa pensare piuttosto al contrario, ovvero a una fiducia “visionaria”, che vede in profondità; una fiducia che vede ciascuno nella sua singolarità e lo fa emergere con il proprio nome; una fiducia che crea il vero volto di quegli uomini aprendoli a una novità. Figli della loro storia naturale, che li qualifica con un patronimico – Giacomo, ad esempio, è definito “figlio di Alfeo” (v. 18) – o il loro luogo di origine – Simone, ad esempio, è definito “il Cananeo” (v. 18) –, essi divengono ora figli di una storia nuova, una storia creata dalla fiducia posta in loro da Gesù, che li qualifica altrimenti. Così Giacomo e Giovanni da “figli di Zebedeo” divengono “figli del tuono” (v. 17).

Tutti e dodici ricevono anche un nome nuovo, comune, che li crea gruppo, comunità, e non più individui: Gesù li “chiamò apostoli” (v. 14). Quella che Gesù pone nei dodici è una fiducia che fa camminare, che invia oltre, che spinge più in là. Ordinari pescatori e poveri peccatori divengono compagni dell’Inviato e, grazie a ciò, predicatori e “benefattori”, cioè operatori di bene, di guarigione, di liberazione: li “chiamò apostoli, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni” (vv. 14-15).

La fiducia di Gesù è dunque degna della sua umanità grande, robusta, esemplare. Ma essa è anche più che umana, perché arriva a una pienezza che umanamente è difficile raggiungere con i soli mezzi umani: la sua fiducia include preventivamente anche la non risposta, la contraddizione, il tradimento. La sua fiducia abbraccia anche “colui che poi lo consegnò” (v. 19). La fiducia di Gesù si consegna a colui che lo consegna, quale testimonianza a caro prezzo della fiducia del Padre per ogni uomo. Su questa fiducia “istituita” da Gesù attraverso l’istituzione del gruppo dei dodici apostoli si regge la sua comunità, la chiesa. Sulla base di questa fiducia “istituita” possiamo restare saldi.

fratel Matteo

Fonte

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Chiamò a sé quelli che voleva perché stessero con lui.
Dal Vangelo secondo Marco Mc 3, 13-19 In quel tempo, Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici –  che chiamò apostoli – , perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì. Parola del Signore

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