Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 20 Ottobre 2021

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La pagina evangelica di oggi ci consegna innanzitutto una beatitudine: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così”, cioè intento a svolgere l’incarico affidatogli (v. 43). Versetto che fa eco alla beatitudine che abbiamo ascoltato ieri e che subito precede il nostro testo: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (Lc 12,37). C’è una beatitudine, un riconoscimento di grazia nell’essere servo che vive con fedeltà la sua relazione con il padrone (cf. v. 42). Un padrone, a dire il vero, un po’ speciale: che promette di mettersi lui a servire i suoi servi (cf. v. 37)… E come non ricordare Gesù che si china a lavare i piedi dei suoi discepoli (cf. Gv 13,1-20)? Un padrone che promette di porre un servo ad amministrare quanto di più prezioso egli ha (cf. v. 44)… E come non ricordare il Risorto che affida ai suoi il potere più grande, quello di offrire perdono a quanti incontreranno (cf. Gv 20,22-23)?

Un padrone, insomma, che si fa Servo dei suoi servi… Sì, vi è un legame unico tra questo padrone e il suo servo… e tutto a vantaggio del servo! Se questo è il padrone, chi è in quest’ottica il servo? Come essere servi di questo Servo? Cosa significa vivere con fedeltà il proprio servizio? 

Nella pagina evangelica di ieri (cf. Lc 12,35-38) ci era stato detto che significa innanzitutto attendere il padrone, e attenderlo ben desti, senza dormire, che è sempre una tentazione grande quando l’attesa si fa lunga: “Siate simili a coloro che attendono il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa” (Lc 12,36).

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Oggi ci viene detto che significa non solo rimanere svegli, ma farlo senza venire meno al compito specifico affidato dal padrone; attendere compiendo, nell’attesa, la volontà del padrone (cf. v. 47). Si tratta di agire, in sua assenza, come se lui fosse presente.

Il Signore (perché è di lui che si sta parlando) è assente, ma il legame con lui è chiamato a mantenersi solido e vivo; ecco allora che la saldezza della nostra relazione con il Signore diverrà manifesta nella concretezza della responsabilità con cui assumiamo la vita, nostra e degli altri.

Sì, oggi siamo messi in guardia. A ciascuno viene domandato di render conto di come vive il tempo dell’assenza del Signore, dell’attesa del suo ritorno (fatto tanto certo quanto incerta è l’ora in cui avverrà): se facendo ciò che il Signore desidera o se comportandosi altrimenti, se agendo da buon amministratore che dà a ciascuno il cibo, cioè che serve la “fame” di chi gli è affidato, o se, approfittando della sua posizione, comportandosi come se il suo Signore non dovesse più tornare, vessando gli altri servi e vivendo lui stesso tra dissipazioni e ubriachezze.

Il ritorno del Signore (cf. v. 40.46) svelerà cosa abita il nostro cuore, se saremo stati servi “fedeli” (dalla radice pístis, “fede”: v. 42), o se avremo trascinato un’esistenza ammantata di fedeltà ma in verità vuota, “infedele” (da “a-pistia”, “senza fede”: v. 46). 

Il desiderio del Signore è di poterci servire. La sua volontà è che ci serviamo gli uni gli altri. 

Il Signore tornerà presto. Beati quei servi che egli troverà solleciti nell’amore, fedeli al suo desiderio e alla sua volontà!

sorella Annachiara


Fonte

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