Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 19 Ottobre 2020

Una voce si leva dalla folla e chiede a Gesù il suo arbitrato in una questione di eredità tra due fratelli. Siamo dinanzi a uno dei tanti passi biblici che hanno per oggetto due fratelli: che si affrontano, che contendono, che si ignorano o che semplicemente seguono vie diverse. Due fratelli che non riescono a comunicare perché qualcosa si è frapposto fra loro. Da quel silenzio, da quell’afasia fraterna, si leva una voce che chiede a Gesù di risolvere il contenzioso.

Gesù rifiuta quella mediazione, ma non si sottrae all’appello rivoltogli, e indica un’altra via da percorrere. Una via che chiede di mutare la prospettiva. Dice infatti: “Fate attenzione e guardatevi da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (v. 15).

Da una parte ci sono dei beni da spartire cui i due fratelli sono legati, dall’altra c’è una fraternità che quei beni sembrano impedire. Cosa vale davvero? Da cosa può venire la vita? Da una relazione o da un possesso? Per colui che chiede l’intervento di Gesù, i beni reclamati valgono più della relazione con suo fratello. Il Maestro lo invita a considerare se questo giudizio di valore sia davvero corretto.

Il medesimo concetto è poi illustrato dalla parabola che segue, dove ogni altro è completamente assente. Il protagonista è un “uomo ricco” la cui campagna ha prodotto “un raccolto abbondante” (v. 16). Un uomo completamente solo, al punto da ridursi al limite della follia… a parlare con se stesso: “Dirò a me stesso…” (v. 19). Anche i suoi sollazzi li immagina in solitudine (v. 19), illudendosi che quei beni potranno distrarlo al punto da impedirgli di vedere la fine della sua vita. Una solitudine su cui l’intervento di Dio lo invita a riflettere: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (v. 20). Egli è solo, e preso dai suoi molti beni non ne è neppure cosciente. Ecco anche qui l’illusione, l’errore di prospettiva sulla capacità di attingere vita da ciò che si possiede.

Due brevi storie, una raccontata come reale, l’altra in forma di parabola, con cui Gesù intende sfatare un’illusione: che ciò che si possiede possa trasmettere la vita. Al contrario, spesso è proprio questo che si frappone tra noi e la vita, allorché diventa inciampo alle relazioni. Il rifiuto del fratello da parte dell’interlocutore di Gesù o il parlare solitario del ricco lo dimostrano: proprio quei possessi impediscono loro di vedere oltre il proprio io, di accorgersi di ciò che è il vero bene.

Non è sempre così! I beni sono anche fecondi, se però condivisi. Se, appunto, non si sostituiscono all’altro. Da soli, senza l’altro, essi perdono la loro potenza vitale e diventano fonte di un’illusione che distoglie da ciò che davvero vale. Senza le relazioni tutto scolora in una vita senza senso.

Ciò è vero di ogni realtà. Non solo dei beni materiali, ma anche di quelli spirituali: tutto ciò che è trattenuto per sé, diventa ostacolo alla relazione e dunque impedisce la vita: uccide anziché nutrire, rende tristi anziché infondere gioia.

fratel Sabino


Fonte

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