Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 16 Novembre 2020

Un testo, quello su cui meditiamo oggi, che si presenta a noi lettori come un dittico, simbolicamente segnato dalla polarità ombra/luce.

La prima anta del dittico (cf. vv. 31-34) è un’anta oscura, come il lato ombroso di quel cammino che sta portando Gesù verso Gerusalemme. È il lato oscuro del cammino della croce, verso la morte: il Figlio dell’uomo “verrà consegnato ai pagani, verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno” (vv. 32-33). Questo lato oscuro del cammino è reso ancor più buio dall’oscurità che avvolge la mente e il cuore dei discepoli, immersi nella nube oscura dell’incomprensione: i dodici, infatti, “non compresero nulla … quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto” (v. 34). Nube oscura dell’incomprensione tanto più fitta in quanto quelle parole di Gesù sulla necessaria passione i discepoli le avevano già ascoltate due volte in precedenza (cf. Lc 9,22; 9,44-45), ma il tempo trascorso con Gesù e l’evoluzione della loro sequela di lui non li aveva condotti alla comprensione vitale, esperienziale del mistero del senso, cioè della direzione, della vita del Maestro: quelle parole “restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso” (Lc 9,45).

Eppure, dentro queste tenebre oscure della passione, una luce già brillava: “Il terzo giorno risorgerà” (v. 33). In queste poche parole è rivelata la luce del senso che continuava a sfuggire ai dodici: resi ciechi dall’oscurità di parole che parlano di morte, non riescono a vedere la luce di parole che al contempo parlano di vita, di un trionfo finale della vita sulla morte!

Di questo trionfo della vita sulla morte parla il secondo dittico del racconto (cf. vv. 35-43). In quest’anta luminosa, la ritrovata luce degli occhi, simbolo della vita, vince sulle tenebre della cecità, simbolo di morte. A differenza dei discepoli, quest’uomo cieco mostra di aver “compreso”, attraverso un’esperienza concreta, nella propria carne, quel passaggio dalla morte alla vita di cui Gesù aveva parlato appena prima. Quel passaggio Gesù si preparava a compierlo grazie alla sua piena e assoluta fede in Dio suo Padre; quel passaggio è esistenzialmente vissuto da quest’uomo di Gerico, mendicante di vita e di senso, grazie alla sua piena e assoluta fede in quel Gesù, figlio di Davide, riconosciuto come Messia (cf. vv. 38-39): “La tua fede ti ha salvato” (v. 42).

Se i discepoli restano nell’oscurità dell’incomprensione perché faticano a entrare con fede nel mistero di Cristo, quest’uomo entra nella luce della vita perché con la sua fede buca le tenebre. E, così facendo, diviene per tutti noi modello luminoso del discepolo di Gesù – “cominciò a seguirlo” – il quale, riconoscendo in sé l’azione di Dio – “glorificando Dio” – diviene testimone spontaneo, immediato e trasparente di lui: “Tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio” (v. 43). Un uomo ha recuperato la vista grazie alla sua fede, e ora molti recuperano la fede grazie a quella vista!

fratel Matteo


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