Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 15 Ottobre 2020

Il nostro brano fa parte di una discussione che ha luogo a casa di un fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo. Il fariseo contesta a Gesù la non osservanza di alcune regole di purità. Gesù allora inizia una lunga invettiva, prima contro le osservanze dei farisei, poi contro i dottori della legge. Possiamo leggere queste invettive alla luce dell’ammonizione che precede il nostro racconto: “Bada che la luce che è in te non sia tenebra” (Lc 11,35).

Gesù ci sta interpellando sulla nostra verità più profonda, in cui siamo chiamati a far abitare l’amore di Dio, la sua sapienza, la sua giustizia che sole ci possono aiutare a leggere il nostro oggi, la nostra storia presente con uno sguardo di speranza capace di conversione, pur portando il peso e la consapevolezza del nostro passato e della storia che ci precede.

Occorre leggere con intelligenza queste invettive di Gesù che facilmente danno adito a letture strumentalizzanti e non veritiere. L’espressione “guai” non corrisponde a una maledizione o a una minaccia, ma è la traslitterazione di un lamento funebre; potremmo tradurlo con Daniel Attinger come “infelici”. L’infelicità che noi viviamo spesso è la naturale conseguenza delle nostre azioni, della nostra attitudine verso gli altri.

La seconda attenzione da avere riguarda tutta la Scrittura che va sempre letta come parola rivolta a noi stessi e non agli altri. Quando leggiamo queste invettive siamo subito pronti a puntare il dito contro questo o quello, ma non pensiamo che sia parola rivolta prima di tutto a noi.

Più che con le parole, noi diventiamo testimoni e apostoli veritieri vivendo il vangelo nella sua concretezza. Soprattutto noi uomini cosiddetti “religiosi” abbiamo la tentazione di favorire l’apparenza, la facciata a discapito di un cuore spesso abitato da “rapina e cattiveria”. Ci facciamo maestri e detentori di una verità della conoscenza, ma in realtà stiamo sbarrando la strada a chi vorrebbe entrare nel Regno. Lasciamo che regole, statuti e consuetudini finiscano per oscurare la parola profetica che è il Cristo stesso, parola che sulla bocca dei profeti non ha mai cercato il plauso delle folle, il successo e l’approvazione, ma si è dimostrata autentica e vera proprio nel rifiuto e nella persecuzione fino alla morte subita dai profeti e da Gesù stesso.

Gesù è un uomo libero, capace di un parola di parresia che non vuole uccidere l’altro, né minacciarlo, ma lo pone con libertà davanti alla sua verità, perché assumendola possa riconoscere la possibilità e la promessa di una conversione sempre possibile in cui il passato non sia un macigno che schiaccia l’oggi, immobilizzandolo, ma divenga occasione di consapevolezza e libertà, quella libertà che Gesù ci dà, lui che non considerò “rapina” la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se stesso divenendo simile agli uomini. È di questa umanità che ci verrà chiesto conto nel nostro oggi, una umanità capace di essere luce di pace e speranza per i nostri fratelli e sorelle tutti, un’umanità che si carica del peso degli ultimi e dei sofferenti ben sapendo che, come scrive sorella Maria di Campello, “solo portando il nostro peso piccolo o non piccolo possiamo avere speranza di aiutare i nostri cari a portare il loro”.

Infine un’umanità che si fa discepola di pubblicani e prostitute che ci precedono nel regno dei cieli, oggi diremo di migranti, zingari, omosessuali, transessuali, disabili, senzatetto, di tutti quelli che sono disprezzati, di quegli ultimi nella società che sono anche gli autentici e primi interpreti del vangelo.

fratel Nimal


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