Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 14 Gennaio 2021

Gesù sembra perlomeno scortese con quest’uomo che egli guarisce dalla lebbra. Il testo dice: “E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito” (v. 43). Ma, lungi da essere una mancanza di gentilezza o, peggio, un rifiuto, qui Gesù si mostra uomo che veramente libera gli altri, e li libera non solo dalle loro malattie, da quella sofferenza che è uno scandalo e che grida essa stessa a Dio e provoca l’ira di Gesù (al v. 41 alcuni codici, invece di “ne ebbe compassione”, hanno: “si adirò”), ma Gesù libera gli altri anche da ogni attaccamento e dipendenza da lui.

Gesù non esige gratitudine, mai. Sono coloro che esercitano il loro potere sugli altri che vogliono essere chiamati benefattori (cf. Lc 22,25). Gesù non rivendica il credito dell’azione di guarigione compiuta, né mai vuole che gli altri gli siano grati perché perdona loro i peccati.

No, Gesù dice sempre al malato o al peccatore: “Alzati e va’” (cf. Lc 37,50; Gv 8,11), cammina, come uomo e come donna liberi, che hanno la possibilità di allontanarsi da lui, che possono ricominciare una vita senza rimanere a lui vincolati, neanche dal debito di un’eterna gratitudine.

Certo, la gratitudine è segno di salvezza (cf. Lc 17,17-19), è segno di consapevolezza di un amore gratuito ricevuto, ma anche nel caso in cui l’unico lebbroso torna a ringraziare Gesù questi gli dice, anche a lui, “Alzati e va’”.

Gesù rimette in cammino, non costringe a stare prostrati davanti a lui, ma rialza e concede autonomia, libertà, possibilità di allontanarsi da lui e di avere una vita indipendente.

Gesù non dice mai: “Sai che cosa ti ho fatto?”, “Sei consapevole del dono che da me hai ricevuto”? L’unica volta che sembra dire questo è quando lava i piedi ai suoi discepoli, prima della sua passione (cf. Gv 13,12), ma, significativamente, non per chiedere amore e riconoscenza per sé ma amore per gli altri, per il prossimo, perché i discepoli, consapevoli del dono ricevuto, si lavino i piedi gli uni gli altri (cf. Gv 13,13-15). L’unico debito che il discepolo deve riconoscere di avere nei confronti dell’amore ricevuto da Gesù è il debito dell’amore vicendevole verso i fratelli (cf. Rm 13,8).

Così anche il padre misericordioso della parabola dei due figli (cf. Lc 15,11-32) quando accoglie il figlio che si era allontanato da lui ordina che venga vestito della veste migliore e che gli siano messi un anello alla mano e i sandali ai piedi (cf. Lc 15,22): gli viene restituita l’integrità di figlio in tutta la sua pienezza, nella mai rotta (da parte del padre) alleanza, di cui l’anello è segno, e gli vengono dati dei sandali per camminare, per “entrare e uscire” (cf. Sal 121,8), atteggiamenti propri di un uomo libero.

L’amore restituisce non solo la vita, la guarigione, ma soprattutto e sempre la libertà, la libertà anche di essere indipendenti da colui che ce la dona, e non a caso proprio la libertà è uno dei segni della figliolanza divina (cf. Gv 8,32-36; Gal 5,13).

Così, il Dio e Padre di Gesù, è un Dio che vuole l’uomo libero, anche a rischio di essere mal compreso, come qui. Gesù tuttavia non si preoccupa dell’impressione che può dare, ma di una sola cosa: che quest’uomo guarito dalla lebbra sia soprattutto un uomo libero.

sorella Cecilia


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