Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 10 Ottobre 2020

Gesù aveva scelto, quale discorso programmatico inaugurale della sua predicazione del regno di Dio, di parlare innanzitutto della beatitudine, della felicità, sapendo che questo è ciò che l’uomo cerca. Una beatitudine paradossale, fatta di mancanza e non di pienezza: “Beati voi che siete poveri … beati voi che siete affamati … beati voi che piangete … beati voi che siete odiati, disprezzati, calunniati ” (cf. Lc 6,20-23). E a chi lo ascoltava aveva indicato di non scappare da quella mancanza, di abitarla, ma tenendo lo sguardo ben rivolto al futuro, gravido di promessa, quale accesso alla felicità presente: cittadini fin d’ora del regno di Dio, fin d’ora rallegratevi, perché “sarete saziati … riderete … avrete una grande ricompensa”.

A queste quattro condizioni paradossali della felicità, ora Gesù ne aggiunge una quinta, che diviene come la chiave di accesso a quella beatitudine promessa: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (v. 28). E a chi lo ascolta Gesù ribadisce di tenere nuovamente lo sguardo ben rivolto al futuro, indicando dove sta la fecondità: non in una gravidanza passata, bensì in una futura, quella della vita ri-generata da una Parola fecondante! Gesù invita i presenti, brutalmente, a distogliere lo sguardo da lui e dalle sue origini – “il grembo che lo ha portato e il seno che lo ha allattato” (cf. v. 27) – e a rivolgerlo a un futuro che si costruisce giorno dopo giorno in un presente abitato da una fedeltà fattiva all’ascolto della Parola. 

La beatitudine, la felicità, è per noi – come è stato per Gesù – nient’altro che un quotidiano cammino che dalla nostra origine, dal momento della nostra generazione, ci ri-genera passo dopo passo, in un processo di liberazione che matura grazie alla fedeltà quotidiana a una Parola di libertà, orientata alla nostra libertà: “Chi fissa lo sguardo sulla … legge della libertà e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (Gc 1,25). Condizione di tale ri-generazione, ci ricorda l’apostolo Giacomo, è il nostro sguardo: cosa teniamo davanti ai nostri occhi, ben fisso?

Solo se il nostro sguardo si distoglie dal nostro “io”, dalle nostre parole, dai nostri discorsi, per aprirsi a una Parola altra, allora tutta la nostra vita si dilata, si fa ampia, si fa felice di quell’ampia felicità che chiamiamo “beatitudine”. E, insieme a ciò, anche tutte le nostre relazioni cambiano di segno e diventano felici, perché anch’esse rigenerate da un decentramento portatore di vita, strappate all’autocentramento su noi stessi e sulle nostre origini e aperte a una comunione fondata sullo sguardo riorientato dalla Parola: “Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Relazioni rese felici perché ri-generate dal dono di sé, in obbedienza alla legge dell’amore-servizio: “Se io … ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi … Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica” (Gv 13,14-15.17). 

fratel Matteo


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