I simboli della Settimana Santa – ASCIUGAMANO E CATINO: SEGNI CHE “SERVONO”

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Ha inizio il solenne Triduo Pasquale. Il colore viola della penitenza lascia spazio al bianco della vita. Due segni aprono e chiudono il tempo quaresimale: le ceneri e l’acqua.

Duccio da Buoninsegna, La lavanda dei piedi, 1308-1311, Museo dell’Opera del Duomo- Siena
Duccio da Buoninsegna, La lavanda dei piedi, 1308-1311, Museo dell’Opera del Duomo- Siena

La polvere che segnava il nostro capo all’inizio della quaresima, trova oggi significato e purificazioni: «Cenere in testa e acqua sui piedi. Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala» (don Tonino Bello). Il Giovedì Santo pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito: «il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (prefazio SS. Eucaristia I). Insieme al pane e al vino, simboli Eucaristici, un grembiule e un catino sono i segni visibili di un testamento d’amore: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13, 12-15).

Nutrimento e servizio sono le parole chiavi di questo primo giorno. Mentre nel dono dell’Eucarestia troviamo il farmaco per la vita: «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1Cor 11, 26), nell’acqua versata sui piedi riconosciamo il significato nuziale dell’amore: «Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13, 1). Il catino pieno d’acqua è figura di un amore che si consuma per purificare: «Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (1Pt 1,22). Amore, è la parola chiave di questa cena: «Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv 13, 4-5). Il cingersi dell’asciugamano è il segno della sua volontà di servire umilmente: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Gesù, come un semplice servo, si china sui piedi sporchi dei dodici per dare loro un insegnamento: ama per servire! Come l’acqua esce dalla brocca senza ritornarvi, così l’amore è anzitutto uscita da sé senza contraccambio; dono senza ricevuta! Il grembiule è segno di questa gratuità: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8).

Leggendo questo passo chiediamoci: e noi siamo disposti ad essere catino ed asciugamano? Questi segni ci ricordano come vivere queste ore: «Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa» (Lc 12, 35-36).

L’amore non fa dormire; come «i malvagi non riescono a dormire se non hanno fatto del male» (Pr 4, 16), così l’amante non riesce a riposare se non ha accanto a sé l’amato: «Perché dormite?» (Lc 22,46). Gesù, una volta compiuto il servizio, si rimette di nuovo la veste ma non si toglie l’asciugamano: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo» (Gv 13, 7). Quante cose non capiamo? Quante dubbi “lavano” la nostra vita? Forse, anche noi, ci laviamo le mani “troppo spesso” nel catino di Pilato, dimenticando invece che «brocca, catino e asciugatoio devono divenire arredi da risistemare al centro di ogni esperienza comunitaria.

Con la speranza che non rimangano suppellettili semplicemente ornamentali. Che cosa che significa tutto questo per noi? Che, ad esempio, un sacerdote difficilmente potrà essere portatore di annunci credibili se, nell’ambito del presbiterio, non è disposto a lavare i piedi di tutti gli altri, e a lasciarsi lavare i suoi da ognuno dei confratelli. Non si tratta di essere mondi, cioè puri. Anche gli apostoli dell’ultima cena lo erano: “voi siete mondi” aveva detto Gesù. Il problema è essere servi. Perché gli uomini accettano il messaggio di Cristo, non tanto da chi ha sperimentato l’ascetica della purezza, quanto da chi ha vissuto le tribolazioni del servizio» (don Tonino Bello).Guardiamo il volto di Gesù, osserviamo le sue mani legate ed impariamo da Lui a vivere con fermezza questo tempo di grazia.

A cura di Bartolomeo de Filippis su Facebook

Duccio da Buoninsegna, La lavanda dei piedi, 1308-1311, Museo dell’Opera del Duomo- Siena – Fonte: Wikipedia