Gesuiti – Commento al Vangelo del giorno, 4 Novembre 2020

Oggi ci troviamo davanti a uno dei passaggi che possono destare maggior difficoltà alla nostra sensibilità contemporanea, così attenta al valore degli affetti familiari. Gesù chiede veramente di odiare madre e padre? Gesù è così disumano? Gesù riprende le parole e i toni di un episodio dell’Esodo. Di fronte all’idolo costruito da Aronne e dal popolo, Mosè domanda: «Chi è per Dio?». E chiede alla tribù di Levi, che risponde compatta, di non fare distinzioni di parentela. Come allora, anche per la generazione contemporanea al Signore (e alla nostra) si dà la sfida di non creare idoli. L’espressione, perciò, non va intesa in senso letterale, ma relativo.

Si tratta ancora di una richiesta disumana? Di un capriccio possessivo? Oppure è un gesto di liberazione? Perché se per primo viene Dio, tutto ciò che segue è un dono. Le relazioni affettive, anche le più importanti, non sono un possesso o un prodotto umano, ma sono un dono da custodire. La radicalità della sequela si trasforma nella radicalità di uno sguardo che vuole vedere tutto come un dono.

All’inizio compare una grande folla, che lo seguiva: Gesù non vuole essere trasformato in un idolo perché compie gesti di potenza. Vuole essere chiaro. Gesù è libero (non è il pezzo di legno o di metallo prodotto dalle mani dell’uomo) e ci vuole liberi. Non manipola. Non cerca compiacenza o grandi numeri, ma autenticità della sequela. Per questo la radicalità dello sguardo nel vedere tutto come dono può stare insieme alla delicatezza e alla tenerezza di un compagno di cammino, che umanissimamente si preoccupa che la sequela avvenga nel rispetto dei limiti e delle fragilità di ciascuno uomo e donna.

Diego Mattei SJ


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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato

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