Gesuiti – Commento al Vangelo del 8 Febbraio 2019

Erode ascolta Giovanni volentieri, lo riconosce uomo santo e giusto; tuttavia non accetta, non capisce cosa non vada: è accecato, bendato dai cenci logori del peccato. Il male quando trova spazio coinvolge altri, fa male e ti fa male.

I sensi di colpa saldano Erode al galleggiante dell’avere e dell’apparire, alla superbia che porta potere e nasconde l’àncora più profonda dell’umiltà. Si contorce su se stesso ed è confuso. Nella sua inquietudine emergono una serie di contraddizioni: nonostante ascolti Giovanni e lo riconosca giusto, lo tiene prigioniero ed è perplesso; è triste all’idea di ucciderlo, ma il suo orgoglio è più forte e lo porta a dare l’ordine.

La paura ci porta a tentare di incasellare Gesù in una fede pragmatica, fatta di schemi. Il Signore, però, ci viene incontro, e questo è il cuore della nostra fede: non ci si può fermare a quello che ci dicono altri cercando di adattare ciò che sentiamo ai nostri modelli, è necessario aprirsi con libertà verso l’alto.

Erode fatica tanto. È la fatica di ognuno di noi nel vedere sconvolta la propria vita, le nostre sicurezze. Si tratta della fatica di essere turbati, la paura di perdere tutto, di lasciarsi convertire nel profondo. È, anche, la fatica di Giovanni, che invece investe tutto e non ne vede i frutti; paga con la vita la sua fedeltà a Dio e ci dona la sua testimonianza forte di verità che, nonostante sia calpestata, non si arrende; la testimonianza di abbracciare la morte per accogliere la vita in sé e per gli altri.

Chiediamo al Signore la pazienza e la fortezza nella prova perché possiamo avere una fede pura e coerente.

Marco Ruggiero

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Mc 6, 14-29
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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