Gesuiti – Commento al Vangelo del 23 Febbraio 2019

La trasfigurazione è un’esperienza di trasformazione, quando gli occhi contemplano interiormente il debordare dell’amore e la conversione dello sguardo inizia un lento e progressivo cambiamento delle nostre azioni. Nella nostra vita ci sono talvolta degli avvenimenti – una lettura, un incontro, una prova… – che subito fanno emergere un’altra visione delle cose. Un innamoramento, una profonda intuizione che svela l’itinerario della nostra storia, un’illuminazione che fa sì che non siamo più gli stessi. Intravediamo così nella nostra storia il volto di Dio.

Questa esperienza di luce fa paura. La paura nasce di fronte a questa differenza irriducibile, che è la differenza di Dio, il suo essere totalmente trasparente, luminoso. Ciò che Pietro dice è in aperto contrasto con i sentimenti che prova: è preso dallo spavento eppure afferma: «è bello stare qui». Sembra più una frase di rito, di circostanza che un sentimento reale. Quanto sta avvenendo parla della realtà di Dio, di una realtà che assume connotati fino ad ora impensabili e insospettabili. Si apre una via che conduce direttamente a Dio. E Pietro cerca di riportare le cose ad un livello più gestibile, le riporta alla terra. Pietro sembra voglia trattenere Gesù, mentre prova lo spavento che gli impedisce di elevarsi e di cogliere nella loro dimensione soprannaturale gli eventi, sembra colto dalla paura che il maestro si allontani, li abbandoni.

L’amore vissuto insieme alla paura assume una connotazione di possesso, e la perdita risulta intollerabile. La trasfigurazione annuncia il solo mondo possibile: entrare nel vuoto della perdita per aprirsi al dono. Quando tutto sembra perduto dobbiamo tornare al dono ricevuto: solo dall’amore si apre ogni speranza.

Claudio Rajola SJ

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Fonte: Get up and Walk – il vangelo quotidiano commentato secondo il metodo della spiritualità ignaziana, disponibile anche tramite la loro newsletter quotidiana.[/box]

Mc 9, 2-13
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
E lo interrogavano: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?». Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elìa e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elìa è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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