don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo di oggi a 22 Maggio 2019 – Gv 15, 1-8

L’immagine della vigna è cara al popolo d’Israele perché lo rappresenta. Anche Gesù in alcune parabole userà questo simbolo soprattutto per sottolineare la cura che il padrone impiega per piantarla e farla crescere. La vigna poi è affidata agli agricoltori che hanno il compito di coltivarla perché fruttifichi.

Gesù, rivolgendosi agli apostoli nel contesto dell’ultima cena, usa l’allegoria della vite, facendo, per così dire, un focus sul particolare. Dall’immagine comunitaria della vigna si concentra sulla vite, passando così dal punto di vista collettivo a quello più personale. Gli apostoli sono chiamati ad essere nuovi germogli della vigna del Signore, ma affinché siano fecondi è necessario che non trascurino la relazione con Gesù.

In altri termini diremmo che il frutto dolce dell’amore e della gioia, che caratterizza la missione apostolica, non viene dal singolo tralcio, ma attraverso di esso a condizione che sia unito alla vite. Il tralcio realizza la sua funzione di portare di frutto nella misura in cui si lascia attraversare dalla linfa vitale che viene dalla vite. Così l’apostolo nella sua missione è chiamato a portare un frutto che non è suo, ma è di Gesù.

Come la pace, anche la gioia e l’amore, non sono il prodotto di iniziative di singoli, seppur lodevoli. Le vere opere buone sono quelle che “rimangono” sfidando gli agenti aggressori della delusione, della stanchezza, della paura, della rabbia. Perché il suo frutto rimanga è necessario che il discepolo rimanga in Gesù anche in tempi e situazioni di prova, anzi saranno proprio quelle circostanze che permetteranno di portare più frutto e il frutto più buono, quello che rimane.

L’invito di Gesù ai suoi apostoli è quello di rimanere in lui sempre, cioè sentirsi parte di lui. Appartenere ad una persona non dipende solo dalla volontà dell’altro, ma soprattutto dalla mia, da confermare ogni giorno, perché è una scelta d’amore. Staccarsi dall’altro con l’intima presunzione di poter essere “tutto”, prendere le distanze dall’altro con l’illusione di bastare a se stesso, significa condannarsi alla sterilità, che spesso non è assenza di frutto, ma è produzione di frutti aspri perché immaturi.

Al discepolo di Cristo è dunque chiesto di rimanere unito a Dio, custodendo la sua Parola, perché in ogni momento si possa scegliere di appartenerGli e così portare nel mondo il frutto saporoso dell’amore gioioso che nessuno potrà corrompere.

Commento a cura di don Pasquale Giordano

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FonteMater Ecclesiae Bernalda

La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]

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Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15, 1-8

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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