don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo di oggi 23 Giugno 2019

La mangiatoia

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C)

Le prime due domeniche dopo Pentecoste la Chiesa fa memoria dei due grandi misteri della fede che fungono da spina dorsale della spiritualità cristiana. Essi sono l’Unità e la Trinità di Dio, che abbiamo celebrato domenica scorsa e l’evento dell’Incarnazione e della Pasqua di Gesù, chiamata Corpus Domini, che festeggiamo con solennità questa domenica. Come dice il nome di questa festa – Santissimo Corpo e Sangue di nostro Signore Gesù Cristo – la Chiesa celebra il dono che Dio fa di sé nell’Eucaristia quando ancora si fa nutrimento per noi e ci sazia, cioè fa comunione con noi.

Il racconto della nascita di Gesù fatta da Luca sottolinea che il bambino appena nato fu avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia (Lc 2,7). Il primo alloggio del bambino Gesù fu una mangiatoia. Le fasce che avvolsero il corpicino di Gesù sono il simbolo dell’umanità che Dio ha assunto facendosi figlio dell’uomo e l’essere adagiato nella mangiatoia anticipa le sue parole: “Questo è il mio corpo offerto per voi”. Sulla croce Gesù offre nelle mani del Padre la vita perché il suo corpo diventi nutrimento indispensabile per la vita dell’uomo. 

La pagina del vangelo scelta per questa domenica presenta alcune affinità con il racconto del concepimento, della nascita, della passione, morte e risurrezione di Gesù. L’inizio della narrazione richiama il valore terapeutico della parola di Gesù perché essa non ha una funzione informativa, ma formativa, educativa e, come tale, nutre e fa crescere umanamente. La trasformazione avviene quando i singoli individui diventano parte di un unico corpo le cui membra sono al servizio le une delle altre. Alla fine della giornata, quando il sole sta calando sulle persone che erano venute da Gesù, i discepoli lo invitano a congedare la folla perché possa trovare rifugio nei villaggi e campagne per ristorarsi.

Nel racconto della nascita a Betlemme Luca dice che non c’era posto per loro nell’alloggio e quindi la mangiatoia accolse il bambino appena partorito da Maria. Nel racconto dei due discepoli di Emmaus mentre il giorno stava per terminare Gesù accoglie l’invito di rimanere con loro e lì spezza il pane per i suoi commensali come aveva fatto sulle sponde del lago di Tiberiade e nel cenacolo. I Dodici, che avevano suggerito di congedare la folla, sono invitati da Gesù ad essere loro stessi “alloggio” perché la folla trovi ristoro e nutrimento. Quella di Gesù è una vera e propria pro-vocazione, cioè un appello ad andare oltre: “Date loro voi stessi da mangiare”; siate mangiatoia. Per la fame dell’uomo la comunità deve farsi mangiatoia, spazio nel quale l’uomo trova relazioni che nutrono lo spirito e il corpo.

La provocazione di Gesù spinge i Dodici a guardarsi dentro e scoprire che quello che hanno è insufficiente anche per loro, a meno che… non si vada a comprare per se stessi e per la folla. Dove trovare le risorse per sfamare una folla così grande? La proposta di Gesù sembra una sfida irricevibile e irrealizzabile con le sole forze umane. Il necessario per vivere nel deserto, lì dove si sperimenta l’insufficienza delle proprie risorse, non si trova dentro di sé, ma condividendo con Dio i propri beni. Il fraintendimento ancora continua oggi per coloro che interpretano la missione loro affidata di “portare” se stessi. In verità Gesù non ha detto di “dare in cibo tutti i propri beni e consegnare il proprio corpo” (cf. 1Cor 13,3), ma di “farsi corpo”, comunità che accoglie, ospita e permette a Dio di farsi nutrimento.

Il compito della Chiesa è quello di creare un ambiente accogliente, di essere mangiatoia, nella quale adagiare Dio che viene ad abitare in mezzo a noi. In questo contesto Gesù fa sua la povertà dell’uomo e si offre al Padre, il quale per mezzo dello stesso Gesù distribuisce il pane della vita con generosità a tutti. Il protagonismo dei discepoli potrebbe essere un ostacolo, ma essi sono protagonisti del Regno di Dio nella misura in cui distribuiscono con l’annuncio della Parola e la carità fraterna, ciò che loro stessi ricevono da Gesù. Il protagonista principale rimane sempre Gesù che nei gesti di prendere il pane e i pesci, di alzare gli occhi al cielo, di benedire, di spezzare i pani e darli ai discepoli, dice e dà tutto se stesso. 

In ogni Eucaristia, come i pastori a Betlemme e i discepoli di Emmaus, anche noi possiamo “nutrirci con gli occhi” di Colui che si offre e siamo sfamati, come la folla sul lago di Tiberiade, con il pane della Parola e della comunione fraterna. Il pane consacrato sull’altare è veramente Gesù, il Figlio di Dio. Nel segno dell’ostia vediamo Gesù che diventa “piccolo”, si “spezza” per essere ancora donato. Ciò che ci sfama e ci dà pace non sono le cose, fossero anche sacre, ma è la relazione di amore che da Dio discende e trasforma la comunità. 

Dove può alloggiare l’umanità stanca e affamata che s’identifica in quel piccolo corpo avvolto in fasce che ha bisogno di ogni cura? Dove troveranno i discepoli il senso del loro cammino che attraversa il deserto della delusione? Dove celebrare la liberazione, la festa del perdono e del riscatto? L’uomo non ha bisogno solo di mettere qualcosa sotto i denti, ma di avere vita, ha bisogno di relazioni nutrienti, di ambienti che favoriscano lo sviluppo integrale della persona, esperienze che permettano con il tempo di essere generativi nel bene.

L’uomo ha bisogno di Gesù, perché senza di lui non si può vivere. Le nostre famiglie siano mangiatoia nella quale è posto il Dio che si fa piccolo tra i piccoli. Le nostre comunità cristiane siano cenacoli nei quali, condividendo fatiche e soddisfazioni, successi e fallimenti, gioie e dolori, incontriamo il Signore che ci libera dal male, ci guarisce dalle ferite dell’egoismo, ci dà forza ed entusiasmo per distribuire nel mondo la gioia del vangelo.

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!

Commento a cura di don Pasquale Giordano

FonteMater Ecclesiae Bernalda

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