don Marco Pozza – Commento al Vangelo di domenica 11 Aprile 2021

Ferite da leccare o da lucidare

Per innamorarsi ci vuole coraggio, ma per ritornare indietro e riparare quello che si è rotto ce ne vuole molto di più: “Fà niente, fatti forza – confida Cristo al suo cuore bambino -. Questo era il rischio d’andarsene, lo sapevi: quando ritorni, magari scopri che si sono abituati alla tua assenza. Fà niente, ripeto: ricomincerò io anche stavolta, come quella mattina a Gennesaret (Alziamoci, andiamo!)”. Dentro la clausura del cenacolo erano andati a nascondersi i vecchi spavaldi d’un tempo: col vento a favore pareva che scoperchiassero il mondo, ma quando il vento infuriò contrario filarono via a tutta velocità. L’ultima volta li hanno adocchiati alle pendici del Monte Golgota: poi hanno fatto perdere le tracce tutti, tranne Giovanni.

I pescatori, per natura, sanno remare contro al vento; adesso, però, sono le paure a (t)remare loro contro: “Saremo anche pusillanimi a nasconderci – borbottano tra di loro – ma provasse la gente a vivere quello che abbiamo vissuto noi, con quell’intensità: poi vedrete se era facile ripartire senza di Lui”. Date loro torto, se siete capaci: la delusione, e la paura, sono direttamente proporzionali all’amore amato. Paura, tanta paura, paura gaglioffa di fare la stessa fine: «Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei». Nessuna paura, comunque, della paura: non riuscirai mai a metterla a dormire, lei rimarrà sempre sveglia. “Basta! Chiudiamo tutto, non voglio più sentire gente che ci insegna cosa dobbiamo fare, che cosa non avremmo dovuto fare. Tutti bravi, adesso: ma noi abbiamo dovuto reagire in diretta a quello Sguardo”. Sono esauriti, atterriti, sgomenti: fare entrare qualcuno nelle proprie paure, in attimi così, è più intimo che andarci a letto per fare l’amore.

Lui non bussa, ma nemmeno si deprime: “Li conosco – ragiona tra Sè nel mentre cammina a passi di velluto verso il Cenacolo -: non bisogna avere fretta, le persone migliori si raccontano una paura alla volta, a poco a poco. Sono amici miei: li riconquisterò, ci vuole calma con i cuori feriti”. Arrivato, entra subito, come un coinquilino che ha le chiavi inb tasca: «Pace a voi!» L’invito più bello, la pace, per poi ritornare in guerra, a fare la guerra alla paura: troppi di noi non vivono i loro sogni perchè stanno vivendo le loro paure. «Ma ricordati sempre – scrisse quel genio di Cesare Pavese – che i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che t’incutono». Paura del Cristo? «Mostrò loro le mani e il fianco».

Per convincerli, ancora una volta, si mostra loro gracile, ferito, ricucito. Uguale identico a loro: a volte per far combaciare due persone bisogna prima rompersi in migliaia di pezzi. Rotti sono i discepoli, rotto è il (loro) Maestro: “Non temete, mica vi rimbrotto: non vi chiedo dov’eravate i giorni scorsi, cos’avete fatto, perchè siete fuggiti. Vi chiedo solo d’innamorarvi di queste ferite. Un giorno racconterete che han fatto di voi quello che diventerete!” Tutti zitti, imbambolati, più distesi: “Cosa ti avevo detto, Pietro – bisbiglia Maria all’orecchio del capociurma -: vedi, ci sono delle ferite che sanno essere delle feritoie se hai il coraggio di guardarci dentro”. Ci sono ferite, quelle dei discepoli, che hanno bisogno di altre ferite, quelle del Risorto, per poi cicatrizzarsi: riderà delle cicatrici solamente chi non ha mai avuto una ferita.

Alcune ferite, poi, riusciranno a diventare cicatrici: «(Tommaso), abbiamo visto il Signore!» Le accarezzi, le racconti con complicità come fossero vecchie compagne di vita: loro lo sanno bene, perchè «tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo» (I. Calvino). Sulla strada della paura, Cristo è il primo dei viandanti, rende al mondo il favore del Calvario facendosi Cireneo dell’uomo in panne: «(Tommaso), metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!» Tommaso, fede disorientata, non fa nulla di ciò che gli viene offerto di fare da Colui che può fare tutto. Gli basta quella Sua fragilità risorta per capire ch’è Lui: «Mio Signore e mio Dio!”» (cfr Gv 20,19-31). Satàn, da fuori, si lecca le ferite: dentro il Cenacolo il Risorto aiuta gli amici a lucidare le (loro) ferite.

Commento a cura di don Marco Pozza
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