don Francesco Pedrazzi – Commento al Vangelo del 26 Giugno 2021

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La bellezza dei piccoli fiori

Abramo riceve la visita di tre personaggi misteriosi, nella sua dimora presso le Querce di Mamre. La sua umiltà e accoglienza è esemplare. Colpisce il fatto che si rivolga ai tre come se si rivolgesse a uno solo, come se si rivolgesse a Dio stesso: «Mio signore, – esclama – se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo!».

E i tre, parlando come uno solo, gli preannunciano la nascita del figlio della promessa: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». La promessa si compie nonostante lo scetticismo di Sara, che dall’ingresso della tenda aveva ascoltato quelle parole e aveva “riso dentro di sé”.

Questo brano, letto a partire dal vangelo, lascia intravedere il mistero più grande della nostra fede: la Santissima Trinità. Un solo Dio in tre persone: un solo Dio che è comunione di amore del Padre con il Figlio e nello Spirito Santo.  

Ancora una volta Abramo ci è presentato come modello di fede, perché accogliendo i tre pellegrini nella propria tenda, accoglie Dio stesso e l’accoglienza di Dio ha come conseguenza la benedizione più grande: la nascita del figlio atteso da una vita. La fede di Abramo trova compimento in quella di Maria: l’umile ancella che accoglie la Parola di Dio e la mette in pratica e proprio per questo concepisce nel suo grembo il Salvatore.

La capacità di accoglienza di Dio e dei fratelli è un segno esteriore della vera umiltà e di una “fede grande”.

Nel vangelo di oggi, infatti, Gesù loda la grande fede del centurione perché si ritiene indegno di ospitarlo nella propria cosa: «Di’ soltanto una parola – esclama – e il mio servo sarà guarito!».

Ogni giorno ci è dato il dono immenso di accogliere Gesù, l’Ospite divino, nella nostra casa, grazie alla Santissima Eucaristia. Prima di riceverlo la liturgia ci fa ripetere queste parole del centurione, ma noi siamo davvero consapevoli di essere indegni di ricevere questo sacramento? Lo accogliamo in tutta umiltà e confidando nella potenza guaritrice della sua Parola?

Dopo ogni Comunione san Tommaso d’Aquino pregava con queste parole: «Ti rendo grazie, o Signore … perché ti sei degnato di saziare me peccatore e indegno tuo servo … non per mio merito, ma solo per la tua misericordia. Ti supplico ora, perché la Comunione non mi sia causa di condanna …. Mi liberi dai vizi, mi difenda contro tutte le cattive inclinazioni, e accresca in me … tutte le altre virtù».

Quanta umiltà! Quanta fiducia! Quanta fede!

I santi più grandi sono indubbiamente quelli più umili! Il santo di oggi, san Josemaria Escrivà, diceva spesso che la grandezza di san Giuseppe era dovuta alla sua piccolezza. Scriveva: «Giuseppe poteva far sue le parole di Maria, sua sposa: Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, perché ha guardato la mia piccolezza (cfr Lc 1, 48-49)» (È Gesù che passa, n. 40).

Come quando si cammina lungo un sentiero di montagna e lo sguardo è attirato dalla bellezza dei piccoli fiori cresciuti tra le rocce, così lo sguardo di Dio è attirato e conquistato dalla bellezza dei cuori umili, piccoli, che pur vivendo di stenti, magnificano il Signore accogliendo la sua Parola e proclamano la sua lode.

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