don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 28 Maggio 2021

592

Per un credente non c’è stagione che sia infruttuosa, anche quella in cui ci si dovesse trovare di fronte a difficoltà insormontabili. La vita cristiana, infatti, è feconda non già per virtù naturali (non era la stagione dei fichi), ma in virtù della grazia di Dio accolta in noi. Chi si lascia plasmare dall’azione dello Spirito Santo, diventa capace di realizzare anche l’impossibile. Impossibile naturalmente che Zaccheo potesse conoscere la grazia della condivisione e che la Samaritana potesse sperimentare quella della conversione: in virtù della grazia, invece, l’uno e l’altra conoscono la gioia di una vita insperata.

Mc, molto attentamente annota che quella non era stagione di fichi, quasi a voler scusare l’impossibilità per quell’albero di portare il frutto che Gesù attendeva per saziare la sua fame. Tuttavia, quando Pietro farà presente a Gesù cosa è accaduto al fico, Gesù richiamerà proprio la capacità, per la fede, di compiere proprio ciò che è oltre le nostre capacità naturali: “Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: se uno dicesse a questo monte: «Lévati e gettati nel mare», senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà”.

Il fico rinsecchito è figura del tempio nel quale Gesù entrerà per riportarlo a ciò per cui esso era deputato. Se un fico e un tempio cessano la loro funzione nel momento in cui è necessario, a cosa servono? Anche Dio ha fame, ha fame di un uomo che finalmente torni ad essere ciò per cui è stato pensato e voluto.

Qual è il frutto che egli attende da noi se non quello della nostra conversione espressa nella disponibilità a perdonare piuttosto che in quello di ridurre ogni cosa a un mercato, persino il rapporto con Dio?

Il fico rinsecchito, inoltre, ricorda la necessità di non nascondere dietro delle foglie l’imbarazzo provato per il nostro essere creature. La storia dell’umanità, infatti, conosce un peccato di origine inteso proprio come rifiuto della propria creaturalità.

Senza un sincero chiamare per nome le proprie fragilità e debolezze, la fede si traduce in uno scambio di prestazioni, in vero e proprio commercio.


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM