don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 8 Ottobre 2020

SOLO CHI MENDICA DAL PADRE L’AMORE CHE NON HA PREGA CON SINCERITA’ PER DONARSI AL FRATELLO

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La parabola di oggi è un midrash di Gesù sul Padre Nostro, spiega come la preghiera sia questione di vita o di morte; così come per vivere e non andare alla deriva senza un’identità che mi dia origine e destino, passato, presente e futuro, è fondamentale essere figli di un Padre, e conoscerlo sino in fondo. Se non sappiamo dire a Dio Abbà – Papà, vivremo come orfani, sempre in cerca di un’origine e di un senso, vuoti e frustrati. Per questo Gesù ci spiega la sua preghiera partendo dall’esperienza fondamentale di ogni uomo, il bisogno nel quale nasciamo tutti: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti”. Un “amico” è giunto sulla soglia della nostra casa, nel mezzo del suo cammino, e ha chiesto ospitalità. In oriente essa è sacra, e per un ebreo costituisce uno degli appelli più pressanti della Torah. Il nome stesso “‘ibri”, “ebreo”, che i popoli confinanti davano a Israele e da lui accolto come suo, significa “abitante al di là della frontiera”, cioè straniero. Ogni ebreo ha il dovere sacro dell’ospitalità “… perché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto” (Es 22,20; 23,9). 

Per un ebreo, l’Egitto è il “luogo dell’angoscia” dal quale il Signore lo ha tratto in salvo, senza alcun merito. E quante volte, nella notte del deserto, il Popolo senza pane ha “bussato” alle porte del Cielo e sempre Dio lo ha esaudito. Ma ha “chiesto” mormorando, e “cercato” dubitando. Proprio nella misericordia di Dio così sproporzionata rispetto al suo cuore duro ed esigente, Israele ha conosciuto se stesso. E Dio, attraverso il suo amore infinito, la magnanimità e la pazienza con la quale ha sempre risposto; nel cammino di quaranta anni Israele ha così imparato che c’è qualcosa di più importante del pane materiale: la Parola di Dio, l’unica che infonde vita dove essa non c’è. E che solo lo Spirito Santo Creatore che esce dalla bocca del Padre, quello con cui ha creato l’universo, dà senso e consistenza allo spirito dell’uomo. E’ solo esso che imprime l’immagine e la somiglianza con Dio a chi lo riceve. Per questo, in ogni viandante riconoscerà se stesso, i suoi peccati e la misericordia di Dio; e, facendo memoria della sua storia, farà nei suoi riguardi quanto ha Dio ha fatto con lui. Ma l’uomo della parabola non può! Non ha il pane necessario ogni giorno, l’alimento sostanziale per accogliere il suo amico – quello che Gesù invita a chiedere nel Padre Nostro. Forse ha dimenticato di prepararlo, o ne ha consumato la provvista. Che amicizia può offrire? Forse anche noi dovremmo chiederci se davvero ci sta a cuore la sorte dell’amico che bussa alla nostra porta; o, addirittura, se è davvero nostro amico… Allora, vediamo, mio marito è mio amico? E mio figlio? E’ mia amica mia madre o mia sorella?

Sono “amici” nel senso illuminato dalla Scrittura? Sono “altri me stesso” come lo fu Gionata per Davide, al punto di legare indissolubilmente la sua vita a quella del suo amico, e di morire per lui? E dovremo ammettere che probabilmente non ci siamo mai svegliati di notte per pregare in favore del matrimonio, dei figli o di un collega. Forse abbiamo pensato di risolvere le questioni mondanamente, e ci siamo ritrovati senza “pane”. L’amore autentico, invece, squarcia la notte e insanguina le ginocchia, bussando, cercando e chiedendo il “pane” per l’amico; chi ama si fa amico di Dio per diventarlo degli uomini: “Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio”. Sa che ha bisogno di essere amato egli per primo, istante dopo istante, come il Popolo aveva bisogno della manna giorno dopo giorno. Così ha fatto Gesù per ciascuno di noi. Ci ha “cercati” e “trovati” scendendo tra i dirupi dove ci siamo perduti, affamati, schiacciati dal peso dei peccati, senza forze per andare avanti. Lui, come lo Sposo del Cantico dei Cantici, ha “bussato” alle nostre porte, e si è fatto “aprire” con la sua voce piena di misericordia. Ci ha “chiesto” i nostri peccati, i fallimenti, le divisioni, e, crocifiggendolo, glieli abbiamo “dati”. Gesù ha pregato, ogni notte, sino all’alba, anticipando nell’orazione il Mistero Pasquale con cui ci avrebbe salvati. Sempre rivolto al Padre, parlandogli di noi, sino a Gerusalemme, quando è corso a “bussare” alle porte del Cielo, e ha “chiesto” a suo Padre il “pane” di cui avevamo bisogno. Ha “cercato” una via di salvezza per i peccatori e ha disteso le braccia sulla Croce. Inchiodato a quel Legno ha visto “aprirsi” il cammino al Paradiso, lo ha “trovato” in mezzo alla morte, e gli “è stata data” la salvezza per ciascuno di noi. La sua preghiera crocifissa ci ha ottenuto lo Spirito Santo, il suo stesso respiro di vita che ha vinto il peccato e la morte. E ora è pronto ad aprire le porte del Cielo per donarci la rugiada dello Spirito Santo, la manna senza la quale non possiamo vivere. 

Non a caso, infatti, Gesù ambienta la parabola nel cuore della notte; essa è immagine di quella in cui Dio ha “liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto” (Exultet di Pasqua). E’ notte anche oggi, per questo il Signore ci chiama a farci pellegrini per andare a “bussare”, umilmente, alla porta dell’Amico: dobbiamo chiedere quello che non abbiamo per essere quello che dovremmo essere. Non abbiamo il “pane” per sfamare l’amico che bussa alla nostra porta; siamo senza amore per la moglie, il marito, i figli, i colleghi. Non possiamo accogliere quanti, stanchi e affaticati, cercano in noi ospitalità: è sacra, ci definisce come figli del Padre che ci ha accolto sempre con misericordia, ma non possiamo. Non abbiamo lo Spirito Santo per farci “pane” e offrire il riposo del perdono, la consolazione di una parola, la tenerezza dell’ascolto. Non possiamo farci carico dei peccati degli “amici” e lavare loro i piedi. Non possiamo aprire ai tanti Lazzaro che “bussano” alla porta del nostro cuore. Abbiamo dimenticato di esserlo stati noi, tante volte. Forse siamo già presi nelle fiamme che avvolgevano il ricco epulone, e non sappiamo come accogliere Cristo che “bussa” alla porta celato nel bisogno del fratello. Pur essendo padri cattivi – “schiavi”, secondo l’etimologia del termine “cattivi” – sino ad ora abbiamo dato “cose buone” ai nostri figli; non li abbiamo ingannati dandogli una cosa per un’altra. In Palestina, infatti, lo scorpione può essere anche biancastro. Quando questo tipo di scorpione si arrotola su se stesso per nascondersi e camuffarsi, assume una forma molto simile a un piccolo uovo.

L’anguilla, poi, assomiglia molto a una biscia, mentre certe focacce erano simili a delle pietre. Ebbene, proprio partendo dal nostro cuore paterno possiamo intuire quello dell’Amico celeste, che non ci ingannerà mai.Se noi, dunque, padri schiavi della carne, abbiamo saputo dare il pane che sazia la carne, forse che il Padre celeste non potrà darci lo Spirito Santo per nutrire la natura divina che è in noi? E’ il frutto compiuto della Pasqua, l’alito della vita eterna che ha risuscitato il Figlio e che il Padre vuole donarci. E’ il sigillo che Egli ha messo sul Pane che discende dal Cielo, sulla carne benedetta del Signore, con la quale ha vinto il peccato e la morte. Ricevendolo potremo donarci anche noi come “pane” capace di dare la vita anche a chi ci dà la morte; come “pesci” pescati nelle profondità del peccato, come Adamo ed Eva sedotti dal demonio – il primo matrimonio… – e presi per mano da Cristo disceso negli inferi; e così riemersi alla luce, saremo trasformati in alimento che annuncia e testimonia il perdono di ogni peccato.”Pani e pesci” moltiplicati da Gesù quando si fa buio, per sfamare i suoi amici affamati. In ogni notte che ci avvolge impedendoci di vedere l’amico che abbiamo vicino possiamo “importunare” l’Amico perché “L’amico ama in ogni circostanza; è nato per essere un fratello nella avversità” (Pr 17,17): tuo figlio sta divorziando? Non sopporti più tua suocera o tua moglie? Hai perso il lavoro e non ce la fai ad avere rapporti aperti alla vita? Hai paura della vecchiaia?

L’artrosi ti ha rubato speranza e pace? Alzati durante la notte, ed entra nell’angoscia; e lì dentro gettati in ginocchio, e “bussa” alle porte del Cielo e prega dicendo al tuo Amico, il Padre che ti ama, che proprio “Questa è la notte in cui, nel Figlio, hai vinto le tenebre del peccato”. Per questo il Vangelo ci spinge a “cercare, chiedere e bussare” per “ottenere” quello che ci manca. A camminare nella Chiesa per rivestire l’uomo nuovo. Gesù ci invita a fare memoria della Pasqua, e ricordare la nostra storia per entrare così nella verità che è il bisogno estremo di chi non ha nulla, il nostro. Ci chiama a convertirci e incamminarci verso la fonte della Grazia, insieme al suo Popolo Santo per scendere i gradini dell’umiltà che conducono al battesimo, imparare a confidare nel Padre, e ricevere lo Spirito Santo, l’unico che plasma in noi l’amico di Dio e di ogni uomo. In fondo, è la stessa vocazione della Chiesa, che il Signore risorto viene a destare in questo tempo di Sinodo sulla famiglia. E’ notte, è vero, ma Cristo è risorto! Cristo è vivo nella Chiesa, il Popolo salvato nella notte di Pasqua dalla schiavitù dell’Egitto. La Chiesa, la comunità cristiana, hanno ricevuto il potere su ogni peccato! Nell’iniziazione cristiana, il catecumenato che il Concilio Vaticano II ha rimesso al centro della pastorale, i cristiani possono imparare a cercare e bussare, a chiedere lo Spirito Santo, l’unica medicina per il proprio matrimonio. Qualunque altra cosa, sarebbero pani e pesci che non saziano, succedanei che anche il mondo, “cattivo”, ovvero “schiavo” della carne, “sa dare”.

Con i fratelli, invece, con il sostegno della comunità cristiana e dei pastori, si può entrare nella notte delle difficoltà, delle crisi e dei tradimenti, senza scappare: “Mezzanotte”, il cuore delle nostre tenebre vuote, è l’ora in cui alzarsi e pregare, per sperimentare che il nostro Amico ci dona il suo Spirito che vince ogni divisione, lega indissolubilmente nell’amore crocifisso gli sposi, conduce alla Terra Promessa dove stillano il latte e il miele della misericordia e della comunione. 


AUTORE: don Antonello Iapicca
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