don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 5 Luglio 2020

SULLA CROCE GESU’ CI ABBRACCIA E GIOISCE RIVELANDOCI L’AMORE DEL PADRE PER NOI PICCOLI

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Gesù ci chiama anche oggi, per imparare la mitezza e l’umiltà, le qualità del suo cuore. Basta ascoltare e andare. E’ questa la volontà di Dio per noi. Andare e fermarsi presso di Lui. Vedere dove Lui abita, stare con Lui, imparare con l’orecchio aperto come un discepolo. Ai suoi piedi, cercando e desiderando l’unica cosa buona, la sua Parola, la sua vita, il suo amore. In questo atteggiamento del cuore, e solo in esso, troveremo ristoro, riposo per il nostro intimo, per le nostre anime. Perché così entreremo nel suo riposo, nello shabbat preparato per noi; unica condizione, un cuore docile. Se oggi ascoltiamo la sua voce non induriamoci, lasciamoci sedurre dalla sua misericordia. E riposa solo chi ha presente sempre la verità: “Sappi [tre cose,] da dove vieni: da una goccia putrefatta; dove vai: verso un luogo di polvere, di larve e di vermi; e davanti a chi dovrai rendere conto: davanti al Re, il Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia” (Avot 3,1).

Sapere queste tre cose è la verità che libera dall’orgoglio e dall’arroganza di dover condurre la propria vita con lo sforzo e l’angoscia di chi presume di sé ed esige dagli altri. Sapere che, senza di Lui, non siamo nulla, schiavi del giogo del mondo, esigente e senza misericordia. Il suo Giogo invece, ovvero la Croce d’ogni giorno, è il vero cammino al riposo. Allora, prendere la Croce che la storia ci presenta, è il modo per andare al Signore: e questo cammino è già imparare ad essere miti e umili di cuore. Il mite infatti, come recita il salmo 37, possiede già la terra perché la croce pota l’orgoglio, riduce la menzogna a polvere e fa brillare la verità. Nella storia di oggi possiamo conoscere la nostra debolezza senza scandalizzarci, e lasciarci condurre, vivendo dell’autentico alimento: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provar la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore”(Deut. 8,2-3). Così, l’umiltà figlia della verità, conduce all’abbandono totale alla Parola. L’umiltà del condannato con Gesù alla stessa infamante morte di Croce e implora il suo perdono. Ecco, in quel momento l’ultimo della terra ha incontrato Colui che per lui si era fatto ancora più ultimo, prendendo su di sé la stessa condanna. Crocifisso sulla stessa Croce di Cristo trova il riposo del Regno in quello stesso “oggi” in cui morirà al mondo umiliandosi nell’accettazione delle proprie colpe. E quella Croce diviene un giogo leggero perché Cristo è sceso a prenderlo per portarlo con lui, rendendo leggero il carico delle sue colpe nel suo perdono. Quel ladrone aveva preso il giogo di Cristo su di sé sperimentando che per primo era stato Lui a prendere il suo. E per questo la sua anima ha trovato il ristoro del Cielo, dopo aver sofferto tanto a causa dei peccati. Sant’Ambrogio, afferma addirittura che Gesù stesso si era fatto “buon ladrone” per riscattare ogni “cattivo ladrone”. Dopo aver stigmatizzato la crudeltà di“crocifiggere come un malfattore (quasi latronem) il Redentore di tutti”, dice: “Ma nel mistero – cioè nell’interpretazione più profonda, che attinge alla pienezza del mistero della salvezza – Egli [Gesù, il Redentore] è un eccellente malfattore (bonus latro), perché ha teso un agguato al diavolo e gli ha portato via la sua roba”. 

In un manoscritto ebraico scoperto nel 1898 nel cosiddetto Cairo Genizah, il luogo dove in una sinagoga del Cairo venivano “sepolti” i manoscritti logori contenenti le Sacre Scritture, è stato trovato questo frammento: “Venite a me, voi che siete senza istruzione, prendete dimora nella mia casa di studio [beit midrash]. Quanto tempo volete rimanere privi di queste cose, mentre la vostra anima ne è tanto assetata? Ho aperto la bocca e ho parlato della sapienza: Acquistatela senza denaro. Sottoponete il collo al suo giogo, e permettete alla vostra anima di portare il suo carico. Essa è vicina a quelli che la cercano e la persona che dà la sua anima la trova. Vedete con gli occhi che poco mi faticai, ma ho perseverato fino a quando non l’ho trovata”. Dunque il “giogo” di Gesù è la “casa di studio” dove Lui insegna e dove possiamo imparare: nel greco originale, infatti, “imparate” (màthete) significa proprio “studiate”L’umiltà e la mitezza si studiano, e il libro è Cristo, la sua stessa vita incarnata nella nostra esistenza. Studiare le sue parole, il suo pensiero, i suoi sentimenti, sino ad assumerli e a farli nostri. Nulla di sentimentale o moralistico, piuttosto il com-prendere, il prendere-con noi, su di noi, il giogo della Torah, il carico leggerissimo dello straordinario compiuto in Cristo. Prendere con noi una vita inchiodata a letto, o stretta nella precarietà; prendere con noi una relazione difficile, dalla quale è sparito l’incanto della passione; prendere con noi un lavoro senza gratificazioni umane, con colleghi che ti fanno la guerra; prendere con noi anche una depressione, come gli altri un giogo pesantissimo per chi non conosce Cristo.

Un giogo che, senza la Grazia, schiaccia e uccide: e questo spesso accade anche nelle nostre parrocchie, invase dallo spirito mondano, dove tutto è esigenza: esigenza di legalità, esigenza di coerenza, esigenza di impegno, solidarietà. Ce lo vorrebbero imporre da fuori, dalle cattedre e dai giornali dei maestri del pensiero unico che determina la cultura della società civile; ce lo vorrebbero imporre anche da dentro, quando i parroci si sentono frustrati e cominciano ad esigere dai parrocchiani che facciano, facciano, partecipino, si tirino su le maniche. E riducono la Chiesa un luogo di leggi, di obblighi, di volontariati asfissianti: “Gli scribi e i Farisei seggono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque ed osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le opere loro; perché dicono e non fanno. Difatti, legano dei pesi gravi e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito” (Mat. 23:2-4). Ciò significa che, proprio mentre si esige impegno si scappa dalla storia. E’ l’esatto contrario del cristianesimo. Non così “Mosè”, che “era un uomo molto umile, più di ogni altro uomo sulla faccia della terra.” (Numeri 12,3). E perché? Perché aveva conosciuto se stesso, fragile, incoerente, mascalzone, ma eletto, chiamato a prendere il “giogo” di Cristo, e aprire al Popolo il cammino nel deserto. E’ mite, infatti, chi ha imparato che la lotta d’ogni giorno non è contro le creature di carne, contro suocere o mariti o mogli o figli o colleghi di lavoro o coinquilini di condominio. Il combattimento, invece, è contro il demonio, il padre della menzogna e dell’orgoglio. In questa lotta occorre imbracciare le armi della fede, la Parola, lo zelo per il Vangelo, il suo amore infinito. La fede, la speranza e la carità, i doni del Cielo riservati a chi reclina il proprio capo sul petto di Gesù, assumendo lo stesso “giogo”, l’unico che darà senso e compiutezza alla vita. Esattamente come il “giogo” serve agli animali per compiere il loro lavoro. Il Signore ci chiama a immergere la nostra mente nel suo cuore, la fonte della mitezza e dell’umiltà, la porta al riposo e alla pace. 


AUTORE: don Antonello Iapicca
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