don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 26 Settembre 2019

ASCOLTARE UMILMENTE LA PAROLA DI DIO CHE CI SVELA IL COMPIMENTO DEL SUO AMORE NELLA NOSTRA VITA 

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Gesù Cristo è risorto, ed è infinitamente di più di ogni possibilità che possiamo immaginare e offrire alla nostra vita, al nostro matrimonio, ai figli. E’ l’amore che supera ogni intelligenza, e risuscita dalla morte anche il più grande peccatore. Anche Erode, come accadde per Davide. Ma tra i due c’è una differenza fondamentale: la contrizione e l’umiliazione del cuore, che accetta le conseguenze dei propri peccati. In Davide c’era, in Erode no. Davide ascolta la parola del Profeta, e il segno della sua conversione autentica è proprio l’accettazione delle conseguenze del suo peccato. Il perdono di Dio non è uno smacchiatore, che “resetta” tutto.

No, perché altrimenti accadrebbe in noi come nei computer resettati: perderemmo la memoria dell’amore di Dio, confondendolo con qualcosa di dovuto, perché perderemmo la memoria della nostra realtà. Che è proprio ciò che ha fatto Erode decapitando Giovanni Battista. Invece nella Chiesa l’annuncio del vangelo e il perdono dei peccati, il battesimo e i sacramenti, sono solo l’inizio del cammino in una vita nuova, che segue le orme di Cristo crocifisso. Il cristiano, infatti, è colui che, come Davide, sa discernere nella storia le orme di Dio, e le segue, sapendo che proprio in esse vi è il suo amore. Un orgoglioso, come spesso siamo noi, come lo sono i nostri figli che ascoltano ma non vogliono accettare di umiliarsi, non capirà nulla, e continuerà a sbattere, come Erode, sulla realtà di un amore che sfugge al controllo e al quale solo ci si può abbandonare rinnegando noi stessi. Per questo Erode incontrerà Gesù nel momento culminante della sua missione, nel mezzo del suo Mistero Pasquale. E non udrà altro che il suo silenzio di Agnello muto di fronte ai suoi tosatori. Di fronte a lui, come a noi, induriti nell’orgoglio. Sì fratelli, quando Dio tace significa che ci sta amando sino alla fine; sa che non ascoltiamo, conosce la durezza del nostro cuore astuto di malizia. Per questo tace, nell’estremo tentativo di far crollare le barriere di orgoglio con cui difendiamo il cuore avvelenato. Il suo silenzio, che può attirare il disprezzo e la “nullificazione” di Gesù da parte di Erode, oppure il sincero pentimento di Giobbe che apre finalmente gli occhi sull’amore di Dio e tace, per far parlare Lui. Nel mezzo della missione della Chiesa appare la figura del tetrarca Erode.

Egli è immagine di ogni potere mondano sul quale si riversa, come uno tsunami, l’annuncio del Vangelo. Ma anche noi siamo tetrarchi della porzione di vita che ci è stata assegnata: in famiglia, al lavoro, nella comunità cristiana, spesso ci comportiamo come Erode, ingannati dalla menzogna di satana che ci fa astuti come lui, che Gesù appunto chiamava “la volpe”. Una volpe travestita da dio che, illudendosi di decidere da sé cosa sia bene e cosa sia male, tradisce il suo Creatore per unirsi alla carne; e, una volta scoperto e smascherato dal profeta, decapita la Verità che lo avrebbe salvato. Perché ogni volta che si fa tacere la Parola profetica che illumina la nostra vita uccidiamo noi stessi, condannandoci alla sterilità, come, secondo la Scrittura, accade a chi prende in moglie la sposa del proprio fratello. Chi taglia con la Verità prende la sua vita e la getta nella pattumiera. Che astuzia, vero? Confessiamolo oggi, è la stessa che bussa al nostro cuore ogni volta che ascoltiamo il Vangelo e, come Erode e il mondo, sentiamo parlare dell’avvenimento cristiano, e ci imbattiamo nei segni della fede offerti dalla comunità cristiana. Restiamo “perplessi”, come paralizzati in una strada senza uscita. E’ questo, infatti, il senso originale del termine greco, che deriva da “aporia”: “aporìa significa letteralmente dubbio. L’aporia è la difficoltà irrisolvibile che fa riferimento a un determinato procedimento razionale.

E’ una impasse logica legata ad uno stato oggettivo del problema, nel quale la realtà che si mostra nell’esperienza entra in conflitto con la realtà mostrata dalla logica” (Dizionario filosofico). La logica dei nostri pensieri secondo il mondo si scontra con il Cielo che si fa carne nella Chiesa, e per questo non riusciamo ad afferrare la promessa che ci viene fatta con la predicazione. Cristo infatti, si accoglie umilmente, non si afferra. E’ sì come uno dei profeti, risponde cioè a quello che il nostro cuore, illuminato dalla predicazione, desidera, ma non come noi vorremmo o ci aspetteremmo. 

Gesù Cristo è risorto, ed è infinitamente di più di ogni possibilità che possiamo immaginare e offrire alla nostra vita, al nostro matrimonio, ai figli. E’ l’amore che supera ogni intelligenza, e risuscita dalla morte anche il più grande peccatore. Anche Erode, come accadde per Davide. Ma tra i due c’è una differenza fondamentale: la contrizione e l’umiliazione del cuore, che accetta le conseguenze dei propri peccati. In Davide c’era, in Erode no. Davide ascolta la parola del Profeta, e il segno della sua conversione autentica è proprio l’accettazione delle conseguenze del suo peccato. Il perdono di Dio non è uno smacchiatore, che “resetta” tutto. No, perché altrimenti accadrebbe in noi come nei computer resettati: perderemmo la memoria dell’amore di Dio, confondendolo con qualcosa di dovuto, perché perderemmo la memoria della nostra realtà. Che è proprio ciò che ha fatto Erode decapitando Giovanni Battista. Invece nella Chiesa l’annuncio del vangelo e il perdono dei peccati, il battesimo e i sacramenti, sono solo l’inizio del cammino in una vita nuova, che segue le orme di Cristo crocifisso. Il cristiano, infatti, è colui che, come Davide, sa discernere nella storia le orme di Dio, e le segue, sapendo che proprio in esse vi è il suo amore. Un orgoglioso, come spesso siamo noi, come lo sono i nostri figli che ascoltano ma non vogliono accettare di umiliarsi, non capirà nulla, e continuerà a sbattere, come Erode, sulla realtà di un amore che sfugge al controllo e al quale solo ci si può abbandonare rinnegando noi stessi. Per questo Erode incontrerà Gesù nel momento culminante della sua missione, nel mezzo del suo Mistero Pasquale. E non udrà altro che il suo silenzio di Agnello muto di fronte ai suoi tosatori. Di fronte a lui, come a noi, induriti nell’orgoglio. Sì fratelli, quando Dio tace significa che ci sta amando sino alla fine; sa che non ascoltiamo, conosce la durezza del nostro cuore astuto di malizia. Per questo tace, nell’estremo tentativo di far crollare le barriere di orgoglio con cui difendiamo il cuore avvelenato. Il suo silenzio, che può attirare il disprezzo e la “nullificazione” di Gesù da parte di Erode, oppure il sincero pentimento di Giobbe che apre finalmente gli occhi sull’amore di Dio e tace, per far parlare Lui. 

Qui puoi continuare a leggere altri commenti al Vangelo del giorno.

Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9, 7-9


In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

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