don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 20 Marzo 2020 – Mc 12, 28-34

IL “CORONAVIRUS” PUO’ TOGLIERCI MOLTO, MA NON PUO’ IMPEDIRCI DI ASCOLTARE LA PAROLA DI DIO, ACCOGLIERE IL SUO AMORE NEL QUALE AMARLO E AMARE

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Nel cuore della Quaresima, nel cuore di questo tempo di precarietà, prova e deserto, che ci è dato da vivere vi è l’ascolto. In ebraico i termini “ascolto” e “obbedienza” coincidono: così, nella parola dello Shemà, l’ascolto si fa obbedienza, nella quale l’amore si rivela autentico e incorruttibile. Solo nell’obbedienza che si abbandona senza riserve all’amore di Cristo si compie il “comandamento più grande”, il comandamento dell’uomo libero.

Non esiste vita autentica dove non esiste libertà, perché non esiste amore laddove permangono schiavitù e paura. Dove regna il faraone vi è disordine, (secondo l’etimologia del termine faraone), e l’uomo vive dissipato; cuore, anima e forze si combattono conducendolo a una schizofrenia interiore che lo distrugge. Lo possiamo vedere chiaro ora, che tante alienazioni e seduzioni del demonio e della carne sono scomparse dalla scena, e possiamo, non senza dolore nella carne dell’uomo vecchio, trovare la pace dell’ordine interiore nell’amore. Apriamo l’orecchio e ascoltiamo la Parola di Dio, ne abbiamo finalmente il tempo. Ascoltiamola con i figli, celebriamola e accogliamola, anche se ci troviamo soli, ma in comunione con la Chiesa diffusa in tutto il mondo. Diventiamo antenne orientate alla voce di Dio, e vedremo crescere la fede, perché essa viene dall’ascolto.

La Parola di Dio è l’unica possibilità offerta all’uomo per essere libero davvero, affrancato dal potere del demonio: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. A chi consegnare se stessi se non a Gesù sul letto d’amore della Croce, dove Lui si è consegnato a noi? Dio infatti è “unico” perché il suo amore è l’unico che scende, con noi e in noi, nella sofferenza più profonda, nei dolori di un cancro, nelle angosce dei tradimenti e dei fallimenti, nei tormenti dei dubbi, in tutti gli istanti delle nostre vite, in quelli distillati da questo tempo così speciale. Lui è l’unico che ci ama così come siamo. La parola comandamento traduce infatti diversi termini ebraici che indicano, tra l’altro, una parola che affida un incarico. Il comandamento è una missione.

La domanda che appare nel Vangelo allora, può significare: “Quale è la missione che mi è affidata?”. L’incipit dello Shemà svela che l’amore esclusivo a Dio e al prossimo scaturisce dall’esperienza dell’unicità di Dio che ha preso l’iniziativa liberando il Popolo dalla schiavitù dell’Egitto. L’incipit del nostro Shemà è l’amore di Dio che in Cristo ci ha liberato dalla schiavitù al peccato e dalla paura della morte. Il primo comandamento, il fondamento che muove e compie la nostra esistenza è l’amore di Dio, e la nostra missione è accogliere Cristo, amore fatto carne, e vivere crocifissi con Lui, nella sua obbedienza, per dire con San Paolo: “non vivo più io, ma è Cristo che vive in me”. Ascoltare, e lasciare che l’amore entrato in noi colmi cuore, mente e forze, e, sovrabbondante perché eterno e incorruttibile, giunga al prossimo.

Come dividere cuore, mente e forze con idoli vani, evaporati di fronte al potere di un virus invisibile, incapaci di amare e di salvare? Per questo lo Shemà, l’ascolto, è il “comandamento più importante”, la roccia su cui erigere l’esistenza, la stabilità nell’instabilità, la certezza nella precarietà. Lo Shemà compiuto da Cristo crocifisso che ci attira a sé è il fondamento di ogni pensiero, scelta, relazione, azione. Lo Shemà irrora di eternità tutto il transitorio della vita, e ci fa attraversare nella fede questo tempo di angoscia nel quale non si può prevedere nulla, generando la libertà di amare in qualunque circostanza, senza illusioni, nella santa indifferenza che sbriciola ogni preteso assoluto che vorrebbe rubare mente, anima e corpo.

Non vi è male che abbia ragione dell’amore che compie lo Shemà. Esso incarna il Cielo in ogni questione della terra, mette in fila priorità e valori, illumina il buio che le ragioni umane non riescono a dissipare. Lo Shemà è l’antidoto al virus della superbia, perché orienta umilmente il nostro essere alla volontà di Dio. Lo Shemà è il sigillo della Grazia e dell’elezione a vivere sulla terra l’amore celeste, la missione affidata alla Chiesa e a ciascuno di noi. Se lo accogli e ascolti “non sei lontano dal Regno dei Cieli”, ora, qui, mentre intorno è paura, ansia, e sinistri presagi.

E questo tempo sarà un memoriale della Pasqua più bella, il nostro esodo dal peccato e dalla paura all’amore e alla libertà.


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