don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 16 Settembre 2021

637

LE LACRIME DI PECCATRICE DAL CUORE UMILIATO E CONTRITO SONO IL SEGNO DELL’UNICO AMORE A CRISTO POSSIBILE ALL’UOMO


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Come al fariseo Simone il Signore oggi “ha qualcosa da dirci”. Ci vuol parlare dell’amore. E, invece di dissertare e proporre slogan, racconta fatti, gesti e atteggiamenti che i suoi occhi hanno appena visto. Soprattutto ci mostra le lacrime. In poche parole, e una donna tra le peggiori, Gesù ci dice che cosa è l’amore. Quello autentico, reale, e, soprattutto, possibile all’uomo. Non c’entra nulla la passione, il sentimento narrato e cantato, filmato e postato sui social networks. Come scriveva San Paolo, tutto quello che sembra amore, e di quello magnifico e sorprendente come gettarsi nelle fiamme o donare tutti i beni, è pura vanità se non ha il timbro della carità… Per questo, con l’amore c’entra invece il peccato, e la carità di Cristo che è l’unica che può perdonarlo. Con l’amore c’entra il peccato originale del quale ci si è sbarazzati troppo presto, ingessati come siamo nella stessa ipocrita certezza di impeccabilità di Simone. Invece il peccato esiste, eccome.

- Pubblicità -

La “peccatrice di quella città” è immagine di ogni abitante di quella città; narra il Libro della Genesi che gli uomini, “emigrando dall’oriente capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono… Si dissero l’un l’altro: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra» (Gen. 11,2-4). Allontanandosi da Dio Oriente di luce perché gli uomini possano orientarsi nelle vicende della vita, gli uomini si “stabiliscono” e si “costruiscono una città e una torre”. Lasciano di essere nomadi e itineranti, ovvero abbandonati all’amore provvidente di Dio, e con le proprie forze cercano di farsi un nome senza Dio. Anzi, costruendo una città ben installata smettono di camminare e cercano di assaltare il Cielo, di innalzarsi e diventare come Dio. E’ il peccato di Adamo ed Eva, la superbia che sostituisce l’io a Dio. La “peccatrice di quella città” altri non è che tu ed io, e ogni uomo installatosi nei beni e sedutosi sulla propria anima. Era nota, famosa, e molti ne avevano approfittato: era un segno, come uno specchio nel quale tutti potevano vedere il proprio orgoglio e il proprio cuore adultero e idolatra. Ebbene questa donna diventa l’immagine più fedele dell’amore, perché esso può sgorgare solo dalla verità che si fa umiltà distillata in lacrime di pentimento.

Questa donna è, per questo, immagine dell’anima che non si illude, e sa che non può amare perché “peccatrice”. E’ come l’emoroissa che non può far nulla per fermare l’emorragia, come il figlio prodigo che non ha nulla e sente fame e rammenta l’abbondanza di casa. Questa donna sa che solo inginocchiata ai piedi di Gesù e piangendo i propri peccati può sperimentare la carità che è mancata alla sua vita e al suo amore adultero e di prostituta; sa che solo in essa può ritrovare la dignità e l’identità perdute. Esiste il peccato, e nessuno può amare superando la carne.

Abbiamo solo le lacrime con le quali abbandonarci alla misericordia di Dio; esse sono l’unico linguaggio possibile per uscire dal nostro orgoglio, e dire a Gesù che lo amiamo, così come siamo e possiamo, con quello che abbiamo, il pentimento e le sue lacrime. Come quelle di Pietro, traditore e apostata, con la carne peccatrice trapassata e perdonata dallo sguardo misericordioso di Gesù. Chissà, forse questa donna avrà incrociato lo stesso sguardo, da dietro la folla, nascosta e tremante. E ora era ai suoi piedi, sperando che le sue lacrime scivolate sui piedi di Gesù possano introdurla nel suo cuore, dove essere liberata per “andare in pace”. L’amore vero e reale e possibile a te e a me oggi non può che essere bagnato dalle lacrime. Di nessun altro nel Vangelo il Signore ha mostrato l’amore – ponendolo addirittura come esempio – se non quello della donna del Vangelo di oggi. Così anche noi oggi possiamo versare le lacrime su Gesù supplicando la carità che può trasformare il nostro amore limitato al pentimento in dono e perdono che oltrepassa la soglia della morte e del peccato.

I fatti con i quali oggi il Signore ci parla dimostrano inequivocabilmente le due possibili relazioni con Lui. Una supponente, che lo cerca sì, e lo invita a pranzo, addirittura pregandolo di condividere la mensa, ma con il cuore lontano. L’atteggiamento di Simone, che si ferma sulla soglia dell’intimità, che resta imprigionato nella sua pretesa giustizia di fariseo, in quella sottile e subdola certezza che la visita in fondo gli sia dovuta, quasi un tributo. Il suo cuore non si stacca dal suo io, nessuna lacrima solca il suo viso, crede di conoscersi ed invece è prigioniero della menzogna. E giudica, appoggiandosi sulla propria conoscenza delle Scritture, guidato solo dai propri criteri, quelli fondati su regole e “precetti di uomini” buoni solo ad ingrassare l’uomo vecchio, accecato nell’orgoglio. Simone è con Gesù a mensa, ma è puro formalismo, ed il suo ego lo catapulta in una posizione di superiorità e sufficienza che gli fa dimenticare anche le regole elementari dell’accoglienza. Crede di compiere la Legge e i precetti, ma tralascia l’essenziale che è l’accoglienza di un ospite, con i riti che qualunque ebreo era solito compiere; neanche questa semplice attenzione aveva, neanche il minimo…. Parla con parole carnali, pensa con pensieri mondani, e il suo rapporto con Cristo rimane superficiale.Non può immaginare che Gesù conosca il cuore, e sappia intercettarvi l’umiltà nascosta tra i peccati e l’arroganza mascherata di perbenismo.

Gesù sa perfettamente “chi e che specie di donna è quella che lo sta toccando”: è “una peccatrice”, come Simone, ma, a differenza di questi che, pur avendolo a casa gli resta indifferente, lo “tocca” per amore: lo “tocca” per consegnargli la sua impurezza… E’ la “specie” di donna che piace a Gesù… Di donne come Lui Egli si innamora perdutamente, pazzo di tenerezza da riversare su tante ferite… Immonda e indegna, che il solo toccarla infetta e rende impuri. Lei lo sa, conosce la propria assoluta indegnità, i peccati sono lì, tra le sue mani, evidenti. E un dolore acuto a percuoterle il petto, un’angoscia mortale. Questa donna ha toccato la morte. “Cinquecento denari di debito”, non basterebbe una vita a restituirli. Lei sa che non ha amore a sufficienza per riparare al non amore che ha seminato morte nella sua vita e in quella di tanti altri. Non basterebbero lavoro e fatica, neanche sfiancarsi tutti i giorni che le rimangono sarebbe sufficiente a rifondere il debito. Non ha altro che le lacrime, e proprio quelle sono, per Gesù nostro “creditore”, il debito che possiamo restituire. E’ inutile cercare di rabberciare le situazioni e di restituire quello che ormai abbiamo sottratto. Certe situazioni sono passate, certe occasioni di amare non tornano più. Però possiamo piangere ai piedi di Gesù, implorando che sia Lui a perdonare e donare la “pace” laddove abbiamo innescato guerre, e ripiani Lui per noi il debito contratto con i nostri “creditori”.

Per questo la donna non resiste, e, nonostante sappia di non potersi avvicinare a Gesù, “si avvicinò dunque non al capo, ma ai piedi del Signore; lei che aveva a lungo battuto la strada del vizio, cercava di seguire le orme segnate dai piedi santi del Signore. Cominciò a versare lacrime, che sono come il sangue del cuore, quindi lavò i piedi del Signore con l’umile confessione dei propri peccati” (S. Agostino). E dal fondo del dolore e del pentimento, la “fede” – ovvero il cammino che l’aveva condotta sino a quel pezzo di terra ai piedi di Gesù come al fonte battesimale, con la speranza che l’impossibile di una vita nuova potesse divenire possibile – la spinge ad inginocchiarsi dinanzi a Lui. A differenza degli altri “commensali” che “cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?»” lei non si chiede chi sia. Lei non ha tempo per pensare, deve inginocchiarsi, piangere e spandere la sua vita su quei piedi che hanno condotto Dio così vicino ai suoi peccati. Gli occhi della sua anima guardano Gesù, e lo vedono adagiato a mensa e ne intuiscono il destino, il sepolcro nel quale sarebbe adagiato, la tomba nella quale ella stessa giace a causa dei propri peccati. Gli occhi di questa donna vedono oltre, e, come la Maddalena al mattino di Pasqua, contemplano la vittoria sulla morte di Gesù, la pietra rovesciata e il suo sorgere dal sepolcro. Lei conosce quel sepolcro, per questo, con l’audacia figlia dell’amore, cerca Colui che, solo, può spalancare la sua tomba e ridonarle la libertà. E, ai piedi di Gesù, sperimenterà il perdono, “la pace” nella quale “andare”, il frutto squisito del Regno dei Cieli donato agli apostoli da Cristo risorto. Le sue lacrime hanno toccato il cuore di Gesù di un amore puro, e, scese sui suoi piedi, li hanno mossi ad entrare nel suo sepolcro e a dischiuderle le porte alla libertà e alla vita.

La compunzione, quella trafittura che prende il cuore e lo lacera nel pentimento è la fonte dell’amore. La verità che si fa umiltà e mendicanza di misericordia schiude il cuore all’intimità. E’ paradossale ma è così. L’amore vero sorge sempre da un cuore che mendica misericordia nella consapevolezza della propria indegnità. Un cuore umile incapace di esigere, chinato a ricevere le briciole come la Cananea, certa che un solo frammento di quell’amore è capace di colmare ogni fame. E’ il cuore che sa di non avere altra possibilità, che riconosce in Cristo l’unico che non si scandalizza, Dio fatto carne perché la carne più corrotta possa essere trasformata in Dio. “Ama di più” chi ha più bisogno d’amore, e per questo piange e si fa audace e spende tutto se stesso e ogni suo bene pur di conoscerlo e riceverlo. “Ama di più” chi ha compreso di non avere neanche un frammento d’amore e si inginocchia piangendo per supplicare dall’Amore fatto carne quella briciola con cui potrebbe amare.

Cosa ci manca per avere questo cuore? Perché siamo ancora così stolti da ritenerci giusti? Ancora non abbiamo compreso che, in molti, forse in tutti i casi, sono le lacrime ad avere partite vinta. Lacrime di moglie a scorrere sui piedi del marito, e lacrime di marito a scorrere sui piedi della moglie. Oggi, nel bel mezzo di una lite che si protrae da settimane, prender su e inginocchiarsi, senza parole, di fronte al fratello, coniuge, genitore o figlio che sia, e cominciare a piangere nel ricordo struggente dei nostri peccati. Solo la memoria che non fa sconti sulla verità sul nostro passato e sulla debolezza del nostro cuore può far sgorgare lacrime di pentimento autentico. Saranno queste lacrime a cancellare il ricordo dei peccati del prossimo, e a purificare ogni relazione. E accanto alle lacrime l’olio prezioso e profumato, i nostri beni – tutti perché no? – e quanto abbiamo di più importante, forse il tempo, i criteri, i progetti… noi stessi finalmente offerti al fratello. La conversione, infatti, spazza via idolatria e avarizia, e ci fa liberi per amare d’amor puro che non cerca contraccambio, e ci fa consegnare all’altro gratuitamente e senza misura.

Non dimentichiamolo mai, di fronte a noi vi è Cristo, adagiato nella carne e nella vita del fratello. Anche quando l’altro ci è nemico, in lui vi è Cristo fatto peccato nei suoi peccati, così come nei nostri. Allora, come la “peccatrice di quella città”, anche noi peccatori delle nostre città possiamo con fiducia prostrarci ai piedi di Cristo che viene a visitarci attraverso il fratello, nel luogo e nel momento che non ci aspetteremo. Non temiamo nulla se non la superbia, e gettiamoci ai piedi del fratello: incontreremo in lui lo sguardo d’amore e di perdono di Gesù. Impareremo così che la comunione autentica tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli, nasce solo dalle lacrime versate insieme e dalla comune debolezza accolta e amata da Cristo.

Siamo alle fonti del cristianesimo. Non esiste vita spirituale laddove non è scoccata la scintilla di un incontro tra le lacrime e il perdono. La coscienza del proprio peccato e la consapevolezza dell’indegnità ha condotto, misteriosamente, questa donna ad inginocchiarsi dinanzi a Gesù. L’inganno della superbia di Simone invece, lo allontana e lo fa precipitare in un abisso ben più grave dei peccati commessi da questa peccatrice. L’orgoglio infatti getta nell’abisso del non-amore, dell’ipocrisia che sbarra la strada alla misericordia, e dove non c’è amore a Cristo regna la morte. Tra Dio e l’uomo, tra Gesù e ciascuno di noi vi è una sola relazione possibile: l’amore. Amore che si fa lacrime di compunzione nell’uomo e Parole di perdono in Dio. E questo è capace di fare della più grande peccatrice di ogni città, di te e di me, un uomo nuovo, capace di inginocchiarsi dinanzi agli altri per lavare loro i piedi. Gesù, infatti, era presente in quella donna che, profeticamente, per amore, si era prostrata ai suoi piedi. Era Lui che, prima ancora di ogni suo gesto, si era abbassato più in basso di lei, prendendo il rifiuto, il disprezzo, contaminandosi, per amore, con i suoi peccati. Lui le avrebbe lavato i piedi, unendola a sé sino a farne un altro se stesso; in questo gesto che abbraccia le lacrime della donna e l’annientamento di Gesù appare la donna nuova, la Chiesa, Madre che rigenera ogni peccatore nelle sue viscere colme di lacrime misericordiose.