don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 16 Novembre 2020

MENDICANTI DELL’AMORE AUTENTICO CHE DISCHIUDE GLI OCCHI SUL VOLTO DI CRISTO INCARNATO NEI FRATELLI

Link al video

“Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava” (Gs. 5,13). Gerico, “città della luna”, è la porta di accesso alla Terra Promessa. La sua conquista, narrata nel capitolo 6 del libro di Giosuè, appare come una liturgia con suoni di tromba e il grido assordante del popolo. Per comprendere il segno di Gesù descritto nel Vangelo, occorre rileggere l’episodio della conquista di Gerico: “Disse il Signore a Giosuè: «Vedi, io ti metto in mano Gerico e il suo re. Voi tutti prodi guerrieri, tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il circuito della città una volta. Così farete per sei giorni. Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando  si suonerà il corno dell’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà, ciascuno diritto davanti a sé»… Al popolo Giosuè aveva ordinato: « Non urlate, non fate neppur sentire la voce e non una parola esca dalla vostra bocca finché vi dirò: Lanciate il grido di guerra, allora griderete ». L’arca del Signore girò intorno alla città facendo il circuito una volta… Così fecero per sei giorni. Al settimo giorno si alzarono al sorgere dell’aurora e girarono intorno alla città in questo modo per sette volte; soltanto in quel giorno fecero sette volte il giro intorno alla città. Alla settima volta i sacerdoti diedero fiato  alle trombe e Giosuè disse al popolo:  «Lanciate il grido di guerra perché il Signore vi dà in potere la città…». Allora il popolo lanciò il grido di guerra e si suonarono le trombe. Come  il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato un grande grido di guerra, le mura della città crollarono; il popolo allora salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e occuparono la città”. 
 
Sino al momento in cui passa Gesù, il cieco era rimasto a mendicare. Silenzioso, come intimato da Giosuè al Popolo. Come ciascuno di noi, forse inconsapevolmente, si trova a mendicare silenzioso, senza sussulti o grida, sulla strada dei giorni, dove scorrono le relazioni, le cose da fare, e i pensieri e le decisioni. Chiediamo, semplicemente, vita, felicità, affetto, dignità. Mendichiamo l’essere, chiediamo di entrare a prendere possesso della Terra che ci è stata promessa; tutti abbiamo dentro un desiderio inappagato che ci muove a mendicare: “L’uomo aspira ad una gioia senza fine, vuole godere oltre ogni limite, anela all’infinito” (J. Ratzinger, Luce del mondo, p. 95). 
 
Il Catechismo rintraccia il fondamento del desiderio: “Mediante la creazione Dio chiama ogni essere dal nulla all’esistenza… Anche dopo aver perduto la somiglianza con Dio a causa del peccato, l’uomo rimane ad immagine del suo Creatore. Egli conserva il desiderio di colui che lo chiama all’esistenza.” (n. 2566). Si tratta del desiderio che muove il cieco, immagine dell’uomo ferito dal peccato, incapace di tutto eppure spinto a superare la sua situazione, il limite imposto da quegli occhi chiusi sul mondo. Il suo mendicare ogni giorno lungo la strada definisce il suo desiderio. Malamente, accontentandosi forse, cedendo a compromessi grossolani, eppure, in quella mano tesa, si fa presente il gemito di un cuore che, custode del seme divino deposto dal Creatore, conserva il desiderio, balbetta la nostalgia della perfezione e pienezza di Colui che lo ha chiamato all’esistenza dal nulla. 
 
Il nostro mendicare di ogni giorno è la traccia di questa nostalgia fattasi desiderio. Per questo i sacerdoti ed il popolo girano per sei giorni intorno a Gerico: è l’immagine della nostra vita alle porte della Terra Promessa, della pienezza della vita, della corrispondenza unica e autentica al nostro desiderio. Sei giorni, la ferialità della vita trascorsa mendicando. Ma, conservata e custodita, al centro dei giorni, del lavoro, della famiglia, delle amicizie che sembrano tirate via elemosinando lo straccio di un senso, vi è l’Arca, la presenza di Dio. La mendicanza è positiva, è già una liturgia! E’ attesa, inconsapevole eppure struggente, di Lui, del suo passaggio risanatore. Ogni nostro giorno, anche se mendicante, è creativo, perché Dio, con amore, continua a creare dal nulla la nostra storia per farci felici. Dio crea durante i primi sei giorni “cose buone”, in attesa della “cosa molto buona”, dell’uomo a sua immagine. Così noi mendichiamo nell’attesa dello Shabbat, del giorno del Messia, di Cristo e della sua risurrezione, del riposo di chi, affaticato e oppresso, può trovare solo nella sua umiltà e mitezza. Mendichiamo, e in questo, Dio alimenta e sostiene il nostro desiderio, accompagnandoci, perdonandoci e tirandoci su quando, deboli e feriti, ci volgiamo a idoli e menzogne. 
 
Ogni nostro giorno è già lanciato alla presa di Gerico! Anche se ce ne stiamo seduti a mendicare, Dio sta preparando lo scrigno dove depositare la fede. Per questo anche quanto, nella nostra vita, ci sembra fallimentare, meschino e abietto ha un valore immenso. La stessa Grazia donata al  cieco: trovarsi in quel luogo, su quella strada alle porte di Gerico, in quel momento, a quell’ora. Quel suo mendicare protrattosi da non si sa quanto tempo, lo aveva condotto, misteriosamente, ad esser lì, dentro a quell’appuntamento che, di certo, non aveva fissato lui. Così è per ciascuno di noi. Desideriamo e mendichiamo, e non ci rendiamo conto che tutta la storia spesa a stendere la mano, ci ha preparato e condotto ad essere puntuali ad un appuntamento che Lui ha preso, da sempre, con noi.
 
Il Vangelo di oggi ci annuncia dunque una buona e inaspettata notizia: ogni giornata della nostra storia, ogni evento, ogni persona, ci accompagnano ad entrare in possesso dell’oggetto autentico del nostro desiderio. Anche attraverso la debolezza e le cadute intrecciate al nostro povero mendicare. Anzi, proprio attraverso l’esperienza dell’estrema indigenza, Dio scrive, lettera dopo lettera, la sua dichiarazione d’amore, il suo invito all’appuntamento nel quale donarsi totalmente. Possiamo guardare con fiducia a questa nostra vita mendicante. Il Signore è in cammino, è vicino a noi, passa proprio accanto a quel metro quadro di strada che definisce la nostra vita di oggi. Esattamente in questo momento. Giunge il settimo giorno, la Pasqua della Vita e del perdono, nel quale prorompere in grida altissime. L’Arca è, da sempre, con noi. Le trombe dei sacerdoti, la preghiera incessante della Chiesa, lo zelo di chi ha a cuore la nostra sorte, hanno custodito la presenza di Dio in noi. Passa Gesù, è arrivato il Messia. Ce lo annunciano quelli che “camminano avanti”, il Popolo in procinto di entrare in Gerico, coloro che vanno “ciascuno diritto davanti a sé”. 
 
Certo, lo stupore è grande, come la tentazione di star zitto e non disturbare. Dentro e fuori di noi i pensieri, i consigli, il buon senso, il “religiosamente corretto”, ci vogliono indurre a tacere. Un mendicante cieco è sempre, agli occhi legalistici e moralistici, un indegno: reca impresso nella sua cecità il segno del disordine del peccato; è un fallito, un pigro, preferisce starsene seduto aspettando da fuori l’aiuto che dovrebbe procurarsi da sé. Non si impegna, non si sforza, mendica…. E invece il cieco continua, “ancora più forte” del moralismo, dei sensi di colpa, dei rimorsi. Prende forza dalla sua debolezza e dalla fede accolta attraverso l’ascolto della predicazione – “Passa Gesù Nazareno!” – che innesca la scintilla capace di schiudergli la salvezza. Tutto è Grazia! Perfino quel suo stare là… E’ bastato il passaggio di Gesù ad accendere la fede donata dalla predicazione, a decodificarla in un grido, a professarla con semplici parole, umili perché vere: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Abbi pietà tu di me: la mano tesa del mendicante, la nostra mano, ha trovato la pietà vera, cercata come la può cercare un cieco, nel matrimonio, nei figli, nel prestigio, nell’amicizia, nel lavoro; spesso nei peccati… 
 
E quel grido ferma il passaggio di Gesù. E’ il potere della fede fatta preghiera. Attraverso di essa, cifra della libertà orientata alla Verità, l’appuntamento diviene realtà. La preghiera ha il potere di far compiere la volontà di Dio: il suo pensiero di bene circa quel cieco si realizza grazie a quel grido. Occorre che Gesù si accorga di lui e si fermi. Occorre che la scintilla della fede raggiunga Cristo, lo tocchi, scenda al suo cuore e “liberi”la sua commozione, la sua pietà. Come hanno fatto l’emoroissa, il centurione, il buon ladrone sulla croce. Perchè l’appuntamento cui siamo destinati si traduca in un avvenimento reale, è necessario dare del “tu” a Gesù: la mia preghiera mendicante lo rende un “tu” per me, Qualcuno che ha relazione con me, con la mia vita. La preghiera gli consegna l’autorità per fare quello che ha pensato, per compiere la volontà del Padre in noi. “Si trovano l’uno di fronte all’altro: Dio con la sua volontà di guarire e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà, due volontà convergenti: “Che vuoi che io ti faccia?”, gli chiede il Signore. “Che io riabbia la vista!”, risponde il cieco. “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell’uomo” (Benedetto XVI). 
 
Così la preghiera, a partire dall’umile riconoscimento della propria realtà di mendicante, divine la professione di fede più genuina: Sì, il cieco, in una frase condensa la fede della Chiesa. Il tu e l’io descritti nel suo grido, dicono tutto, professano la fede e attirano la salvezza. Io, mendicante bisognoso, Tu, Figlio di Davide, il Messia, l’unico Salvatore. E la pietà, la misericordia, la salvezza, Gerico, la Terra Promessa, il riposo, la vita piena ed eterna. Si comprende allora perché tutta la tradizione orientale abbia come fondamento la preghiera di questo cieco, la “preghiera di Gesù”. Benedetto XVI sintetizza magistralmente tutto questo: “Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente” (Benedetto XVI, Catechesi nell’Udienza Generale dell’ 11 maggio 2011).  
 
Il grido del cieco lo orienta verso quell’oltre al quale è chiamato da Gesù e condotto dai discepoli. Ora è “vicino” a Lui e si accorge che, come nella bellissima scena del film “Marcellino pane e vino”, pur senza vederlo ancora, quell’Uomo era un mendicante come lui. Marcellino vede Cristo nudo, e pensa che abbia fame. Nella sua innocenza gli porta del pane. E quel pane gli aprirà il cuore di Cristo, che lo accoglierà nella sua intimità. E’ Cristo che mendica la fede del cieco, il suo bisogno, come il nostro; come sulla Croce, ha sete del nostro abbandono, ha sete di donarci l’acqua viva; mendica il poter offrire la pietà mendicata. Diceva Mons. Giussani che “L’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. “Che vuoi che io faccia per te?”. 
 
Questa domanda è oggi rivolta a ciascuno di noi. Possiamo riacquistare la vista per vedere Lui, il “tu” che dà compimento ad ogni nostro desiderio. Crollano le mura di Gerico che impediscono l’ingresso alla Terra, si aprono gli occhi e si può, finalmente contemplare il volto di Cristo, e scoprire che, da sempre, era impresso in noi e nella nostra storia. E da questo incontro nasce un discepolo ebbro di gioia e di lode. Il cieco lascia quel lembo di terra sul quale ha passato la vita mendicando. Ma non smette di mendicare. E’ afferrato in una relazione nuova e sorprendente, che lo attrae e lo seduce. Ora il cieco segue Cristo, con il cuore rivolto a Lui, origine e compimento di tutto: famiglia, lavoro, amicizie. Ora egli sa a Chi mendicare; lo seguirà in un cammino di fede e di illuminazione che durerà per tutta la vita, per imparare ad andare “diritto davanti a sé”.


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

Read more

Local News