don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 14 Novembre 2020

ACCOGLIERE IL POTERE DI CRISTO RISORTO PERCHE’ COMPIA IN NOI LA MISSIONE DI SERVIRE NELL’AMORE GRATUITO OGNI UOMO 

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I talenti sono colmi del potere di Cristo. L’amore smisurato spinge il Padre a consegnare il Figlio al posto nostro, e il Figlio a consegnarsi al Padre. Il frutto di questo amore intimo e perfetto, è la consegna dei beni di Dio alla Chiesa, a ciascuno di noi, perché siano consegnati ad ogni uomo. E il bene più grande di Dio è il Figlio stesso. E’ Lui il talento prezioso che i servi ricevono. “Come il Padre ha mandato me anche io mando voi”, perché “come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi”.

Il “come” è descritto nel diverso numero dei talenti che ricevono i servi. Non si tratta di qualità umane diverse, ma delle varie grazie donate in funzione della missione specifica che ciascuno riceve. Se il talento è Cristo, consegnato attraverso la sua Parola, i sacramenti e tutti i beni che la Chiesa ha sempre custodito e amato, anche chi riceve un solo talento non ha affatto ricevuto meno. Al contrario, ha ricevuto tutto, e nulla manca per compiere la sua missione. Significa che la storia di ciascuno è diversa e irripetibile; agli occhi di Dio la vita di San Francesco Saverio non è più importante di quella di una sconosciuta monaca di clausura nascosta a Lisieux. Il Papa riceve i talenti necessari per adempiere alla sua missione, così come la vedova ammalata che vive in uno sperduto paese di montagna. E noi, che ne abbiamo fatto dei talenti che Dio ci dona? Per consegnarli l’uomo chiama i suoi servi: c’è una chiamata da ascoltare e accogliere. I talenti dei quali parla Gesù non appaiono così, all’improvviso, ma essendo dati in funzione di una missione, si accolgono nella comunione della Chiesa, dove si impara a trafficarli. Ma forse siamo come il servo fannullone, la cui paura nasceva dal peccato nascosto nel suo cuore.

Perché ogni paura ha a che fare con la morte, figlia del peccato. Quell’unico talento tra le mani gli innesca i pensieri più terribili: “so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”. E’ ingannato e quindi incapace di conoscere Colui che gli ha dato il talento; non vede l’amore e la predilezione della chiamata, e per questo nasconde il talento, il dono di Dio che percepisce come un’ingiustizia. Ma, con il talento, nasconde anche se stesso. Come Adamo, che si nasconde dopo aver creduto al demonio che gli aveva presentato un Dio geloso di lui. Sotterrare il talento, infatti, significa seppellire la propria dignità, la primogenitura e il senso della propria vita; significa nascondersi e macerarsi nella solitudine dell’egoismo. Il servo malvagio e infingardo non ha trattato il talento con familiarità, amore, dedizione, fedeltà, come fosse cosa propria. Nascondendolo, ha perso l’occasione di abbandonarsi alla fedeltà, al potere e all’amore di Dio per vivere secondo la sua volontà. E la sua vita è divenuta un brandello da gettare fuori nelle tenebre, dove è pianto e stridore di denti. 

Come spesso sperimentiamo anche noi, chiusi nella superbia di fronte alla storia che non accettiamo, e per questo sfuggiamo per allontanarci dal Padre che ci ha dato l’esistenza. Sotterriamo i talenti, le Grazie per entrare negli eventi perché li abbiamo rifiutati. Ma è solo la paura di chi non è ancora divenuto figlio perché non conosce l’amore del Padre. Pensiamo che Dio voglia sottrarci qualcosa e sospettiamo di Lui, ingannati dalla menzogna primordiale nella quale sono caduti i progenitori: Dio non ti ama, vuole solo limitarti. Così, ascoltando il demonio, comincia a dominare in noi la paura che dietro alla Croce non vi sia la resurrezione; nella migliore delle ipotesi, solo un grande punto interrogativo.

La paura di chi ha smarrito la fede o si è lasciato raffreddare dagli insuccessi e dallo scandalo della sofferenza. Forse dalla precarietà e dal dolore di questo tempo di virus. Ma sotterrandolo, il servo malvagio, non riporta il talento guadagnato: la sua vita è stata infeconda. Invece, nei momenti di dolore e precarietà come quelli che stiamo vivendo, lungi dall’essere duro ed esigente, Dio rivela il suo volto pieno di generosità e misericordia: proprio nella durezza della vita – che esiste a causa del peccato – Dio elargisce gratuitamente il suo potere. Proprio nei momenti in cui la storia ci crocifigge, il Signore consegna il talento, cioè Cristo Crocifisso e risorto in noi, inviato ancora a vivere nella storia per seminarvi la sua vittoria sulla morte e il peccato. Per questo, quando ci assalgono i pensieri tristi che ci gettano nella paura e nell’invidia bisogna correre dai banchieri, dagli esperti del “trading” del trafficare, per imparare da loro, e perché ci aiutino a impegnare bene quanto ricevuto. Quando ci accorgiamo di perdere il gusto per la volontà di Dio, avviciniamoci a chi, maturo nella fede, Dio ha messo sul nostro cammino, e affidiamoci a loro. Il Vangelo di oggi rovescia completamente la prospettiva del servo.

E’ una catechesi decisiva nel nostro cammino di fede perché non perdiamo il tempo nei pensieri malvagi, ma lo impegniamo a trafficare nel crogiuolo della storia le Grazie ricevute da Dio. Per questo, i servi fedeli nel poco che ancora è questa vita terrena, con le occasioni di amare che ogni giorno ci offre, consegnano al Signore i talenti esattamente raddoppiati: a ciascun talento corrisponde un evento redento, un uomo salvato. A ciascun talento, infatti, corrisponde lo Spirito Santo per entrare nella storia. Anche oggi l’Uomo vero, Cristo risorto, si consegna a noi perché possiamo trafficare il suo amore con tutti. Sono loro i frutti che attendono il talento, Cristo in noi, per tornare a Lui. Quando entriamo in ufficio e salutiamo i colleghi, abbiamo mai pensato che sono venuti a lavorare perché aspettano da noi il talento che trasforma la loro invidia in pazienza? O che moglie e figli ci sono donati per immergere ogni loro peccato nell’amore di Cristo fatto carne in noi? Che ogni istante è un appuntamento unico e irripetibile, per guadagnare a Cristo la persona che incontriamo? 

Quando marito e moglie si uniscono, il piacere è massimo e sazia proprio quando si donano mutuamente e completamente, senza riserve e contraccettivi, siano essi sulla carne e o nel cuore perché anche nel sesso il talento è fecondo. Ovunque siamo chiamati, preti, suore e laici, è preparata per noi la gioia piena e autentica dell’amore. La stessa gioia di Cristo esplosa la sera di Pasqua nel rivedere i suoi discepoli: il suo talento aveva dato il frutto meraviglioso della salvezza di quel manipolo di traditori. Per questo la missione della Chiesa, è un’avventura affascinante: vivere trafficando il talento per oltrepassare ogni giorno la soglia dell’impossibile, oltre la quale c’è la gioia vera, la partecipazione piena ed eterna a tutti i beni di Dio.


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

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