don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 11 Dicembre 2020

LA GIUSTIZIA CHE PREPARA L’ABBRACCIO DELLA MISERICORDIA

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Mai sazi. Mai contenti. Mai sereni. Mai come questa una generazione perduta. Gadget d’ogni foggia, accessori sempre più miniaturizzati. Non manca praticamente nulla. Ma della felicità neanche l’ombra. Energie e creatività profuse nella ricerca della migliore qualità della vita, mentre la vita scorre senza nessuna qualità. Mentre i Profeti che ce lo ricordano sono messi in ridicolo; ai nostri occhi appaiono tutti “indemoniati”, fondamentalisti, integralisti come va di moda dire oggi. Le grida di Giovanni, ieri come oggi, sono il segno che di certo era posseduto da un demonio, perché tutto quel rigore è come una passata di carta vetrata sulla pelle levigata dal vizio. E la misericordia paziente di Gesù seduta in compagnia dei malvagi? Roba di un “mangione e beone”. 

Mica come noi che, magari dicendoci autentici cristiani, abbiamo fatto nostro il famoso detto di Cartesio: “penso dunque sono”. Nei pensieri del nostro cuore, al di là delle parole con le quali cerchiamo di stare in equilibrio, non vi è nessuna giustizia e nessuna misericordia: per alcuni, infatti, la giustizia è sinonimo di scarsa misericordia; per altri è la misericordia ad essere sinonimo di scarsa giustizia. E’ la confusione che sperimentiamo nelle nostre relazioni, la stessa della “generazione” che Gesù paragona ai bambini capricciosi e immaturi che non sono mai contenti del giocattolo appena ricevuto. Immaturi nella fede, perché in noi non si è ancora compiuto il Salmo 84, il migliore commento al Vangelo di oggi: “Sei stato benevolo Signore con la tua terra, hai fatto tornare i deportati di Giacobbe. Hai cancellato la colpa del tuo popolo, hai eliminato ogni loro peccato. Hai deposto tutto il tuo sdegno, sei tornato indietro dall’ardore della tua ira. Torna verso di noi, o Dio nostra salvezza… Forse che in eterno sarai adirato con noi, di generazione in generazione estenderai il tuo sdegno? Non tornerai forse a ridarci vita perché in te gioisca il tuo popolo? Voglio ascoltare ciò che dice il Signore: egli parla di pace per il suo popolo e per i suoi piccoli e fedeli, per chi torna a Lui con tutto il cuore. Certo, vicina è la sua salvezza, a chi lo teme, e la sua gloria abiterà la terra. Fedeltà e verità si abbracceranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Sì, il Signore darà il bene e la nostra terra darà il suo frutto. La giustizia camminerà davanti a Lui, ed Egli porrà i suoi piedi su quella via”. 

Splendida profezia che disegna un cammino serio di conversione che assomiglia a un corteo nuziale: “torna” il Signore e “torna” il Popolo, come accade anche oggi, in questo Avvento e in questo Anno Santo di Grazia. E’ dunque il “ritorno” che definisce il rapporto tra Dio e l’uomo, tra Cristo e la sua Chiesa, tra Lui e ciascuno di noi. Come recita spesso la Scrittura dopo un istante di sdegno, Dio “ritorna” a noi attirandoci nella bellezza e nel compimento originali, noi “ritorniamo” convertendoci. Per questo il “ritorno” è anche il fondamento del matrimonio cristiano: ogni giorno, infatti, gli sposi sono chiamati a ritornare l’uno verso l’altro, accompagnati dal Signore che ha aperto per loro un cammino nel deserto, attraverso cioè i peccati e la morte che ghermiscono la loro unione per spezzarne l’indissolubilità. Il “ritorno” che passa attraverso la Croce. E’ vera la Croce. E’ dura la Croce. Fa male. Dirada i pensieri che, per il fatto di essere pensati, ci illudevano di “essere”. 

La Croce, infatti, ci chiede senza sconti: dove sono le tante cose che hanno riempito tempo e pancia? “Israele se tu mi ascoltassi!” diceva il Signore. Ma per tanto tempo non abbiamo ascoltato nessuna Parola. Troppo dure, o troppo buone, tutte al di là dei nostri criteri capricciosi e viziati, moralisti e lassisti nello stesso tempo; siamo troppo lontani dall’equilibrio che solo l’amore può generare. L’amore di Cristo crocifisso che, con la sua carne inchiodata alla Croce ha reso finalmente possibile che la Misericordia e la Verità si abbracciassero e la Giustizia e la Pace si baciassero (cfr. Sal 84,11). La Croce era il prezzo pagato alla Giustizia, la Verità che denunciava ogni nostro peccato; la carne di Cristo ad essa unita era la Misericordia del Dio vivo, la Pace che dalle piaghe gloriose dopo la resurrezione avrebbero annunciato e donato agli apostoli: “Se non c’è qualcosa di più giusto della giustizia, c’è però qualcuno più giusto di essa. Colui che l’ha fatta giusta, Colui nel quale la giustizia e la misericordia si sono abbracciate con una tale stretta che è impossibile riconoscerle o separarle l’una dall’altra” (Detto sul salmo 85 del romeno di origine albanese Ghika). 

Benedetti chiodi che hanno permesso che la Misericordia abbracciasse la Verità; benedetti chiodi che hanno unito Giustizia e Pace nel bacio che ci salva. Benedetti chiodi che ci hanno sposati a Cristo, perché la nostra vita ritrovasse l’equilibrio che la menzogna satanica ci aveva fatto perdere: “Tutte le virtù, prima espulse dalla terra a causa del peccato, ora” in virtù della Croce, “rientrano nella storia e, incrociandosi, disegnano la mappa di un mondo di pace. Misericordia, verità, giustizia e pace diventano quasi i quattro punti cardinali di questa geografia dello spirito” (Giovanni Paolo II). La geografia della vita nuova alla quale siamo chiamati perché “alla Sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere”: la sapienza della Croce ha svelato l’inganno della sapienza mondana infiltratasi nel cuore dell’uomo. Le “opere” nascoste di un cuore dilatatosi all’infinito, scoppiato d’amore sul Golgota. Le “opere” dell’amore cocciuto di Dio che cerca senza riposo la pecora smarrita, la “sapienza” che la carne intrappolata nella menzogna satanica che la corrode non può capire. 

Quale “pensiero” umano poteva immaginare o prevedere che al male Dio avrebbe risposto con l’amore? Eppure, a guardare bene, non c’era altro da fare, il Signore doveva morire così. La nostra vita balorda, ingannata, ubriaca di cose e di idee, era lì, sulle sue spalle, le nostre ore perdute trafiggevano le sue membra. E il seme caduto in terra moriva. E dalla sua morte dentro la nostra morte, sbocciava la vita. Sapienza d’un miracolo, la Giustizia della Croce ha giustiziato il demonio. La Verità risplende nella sua risurrezione, prova del perdono che anche oggi ci raggiunge per compiere la Giustizia nell’amore più forte della morte alla quale ci ha condannato il peccato. Abbiamo perso tanto della nostra vita, illusi abbiamo chiuso orecchie e cuore ai tanti Profeti che il Padre ci aveva inviato. Ma no, non tutto è finito. Non siamo nati per morire così. Alziamo oggi il nostro sguardo a Colui che abbiamo trafitto, arrendiamoci al suo amore sconsiderato. Accogliamo in questo Avvento, e in ogni istante della nostra vita, “l’avanguardia” (Ravasi) della Misericordia di Dio che è la sua Giustizia: “la Giustizia camminerà davanti a Lui, ed Egli porrà i suoi passi su questa via” (Sal 84,14). 

Accogliamo cioè il Legno della Croce che ci attende nei fatti e nelle relazioni, e lasciamo che i chiodi benedetti delle parole, dei fallimenti, dei tradimenti, della malattia, della solitudine e della vecchiaia trapassino la nostra carne. Sì, accettiamo il dolore della Giustizia che annuncia la Misericordia, le ferite inferte dalla Verità capaci di accogliere la Pace. E’ il cammino che ha scelto il Signore per “tornare verso di noi” e farci una sola cosa con Lui. Così “la Giustizia si è affacciata dal Cielo” per discendere e avvolgerci con la giustificazione per non colpirci con la condanna: “Hai nascosto i nostri peccati per non vederli in vista della punizione, e poiché Dio non può non vedere ciò che realmente c’è, per quanto lo si celi e lo si copra, così quando Dio copre i peccati è perché li cancella e li rimette… Li copre non con un velo che li nasconde, ma con un medicamento che li cura e li guarisce” (San Roberto Bellarmino). Ma proprio per questo è necessario che anche noi percorriamo lo stesso cammino di “ritorno” a Lui, accettando di discendere nelle umiliazioni che generano nell’uomo vecchio la Giustizia e la Verità. E’ “giusto” eccome se tua moglie ti tiene il muso perché è altrettanto “vero” che anche tu le hai voltato le spalle mille volte. E così via, ciascuno guardi alla propria vita alla luce di questa Parola e scoprirà quanto sia “giusto” quello che gli sta accadendo perché è “vero” che è un peccatore che ha bisogno di “ritornare” a Dio. 

“Questa generazione” figlia del demonio e schiava della sapienza mondana, non accetta il “lamento” di Giovanni Battista perché vede ingiustizie ovunque dimenticando le proprie; per questo non può accogliere il “canto” nuziale intonato dal “flauto” di Gesù e “ballare” ebbro di gioia e gratitudine. Ma i cristiani sono una “nuova generazione”, i figli della Nuova ed Eterna Alleanza che Cristo ha stretto con noi per mezzo del suo sangue. Attraverso l’ascolto docile alla Parola che la Chiesa ci predica possiamo imparare a riconoscere la Giustizia di Dio che precede la sua “hesed”, la misericordia, la tenerezza, la fedeltà con le quali, per mezzo dei sacramenti, ci abbraccia per l’eternità. Siamo chiamati ad essere la “generazione celeste” nella quale appaiono abbracciate in perfetto equilibrio la Verità e la Misericordia, la Giustizia e la Pace, perché sono il “frutto” del Messia fatto carne in noi, che cioè germoglia dalla “nostra terra” che Egli visita “dal Cielo”. Di questo ha bisogno “questa generazione”, una “porta” costruita con la vita dei cristiani e dischiusa sul Cielo, proprio quello in cui il mondo ha smesso di credere.


AUTORE: don Antonello Iapicca FONTE: Newsletter SITO WEB CANALE YOUTUBE

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