Commento al Vangelo del 7 luglio 2018 – Monastero di Bose

“Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,30).

Gesù vede un uomo lì dove noi vediamo solo delle categorie.

Gesù fa da specchio ai cuori degli uomini: chi lo incontra viene messo in discussione o in crisi sul proprio modo di vivere e di discernere la realtà. Scribi, farisei e discepoli di Giovanni gli presentano le proprie perplessità o i giudizi categorici, sotto forma di domanda.

Sono provocazioni ma forse è anche la prima volta che questi uomini sono chiamati ad andare a fondo della propria fede. Se rispettare uno stile di vita con regole specifiche si riduce unicamente a condizione di appartenenza a un gruppo o a un partito, significa che non ci si è ancora avvicinati né al proprio cuore né al cuore di Dio.

Il digiuno è un mezzo o un fine? Perché digiunare?

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La Torà lo prescriveva, come opera penitenziale, un solo giorno l’anno, quello di Jom kippur, ma farisei e discepoli di Giovanni ne avevano aumentato la pratica ad altre ricorrenze o giorni della settimana.

Gesù sa benissimo che il digiuno può purificare e disporre l’uomo all’incontro con Dio. Egli stesso lo praticava e ce ne ha lasciato l’esempio: prima di cominciare il suo ministero, fu condotto dallo Spirito nel deserto e dopo quaranta giorni di digiuno vinse la tentazione con la forza della parola di Dio (cf. Dt 8,3). Più avanti, rimprovererà i discepoli per la poca fede e, alla loro domanda sul perché non abbiano potuto liberare un uomo dal male che lo imprigionava, Gesù risponde che “questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno” (Mt 17,21).

Gesù sa anche quanto il digiuno possa essere frainteso, se non è abitato dall’amore: derive ascetiche che cercano consenso pubblico, autogiustificazione orgogliosa mascherata da santità…

No, per Gesù è la misericordia ad avere il primato sulla vita dell’uomo, non il sacrificio (cf. Os 6,6).

Si può digiunare solo dopo aver imparato ad amare, amare se stessi, il proprio corpo, i fratelli e le sorelle che ci vivono accanto, il corpo comunitario, il corpo di Cristo.

Gesù è lo sposo che desidera trasmettere la sua gioia agli invitati a nozze con l’abbondanza di vino nuovo. Lo fa raccogliendo intorno a sé uomini e donne desiderosi di ascoltare la novità della sua parola e di imparare a metterla in pratica. Lo fa costruendo una comunità imperniata sulla condivisione: il pane spezzato e il vino versato sono segni eterni del suo corpo donato per amore, perché ognuno di noi avesse la vita in abbondanza.

Gesù intesse intorno a sé una rete di legami vitali e vuole un’alleanza tra le persone che sia sincera, rispettosa e amicale: “Solamente chi cerca vita troverà Dio. E solo chi trova Dio troverà anche la vita in pienezza. L’amicizia nasce come un invito alla vita, a quel luogo misterioso dove la vita celebra la sua festa esultante” (E. Ronchi).

Siamo chiamati a farci otri nuovi, lasciando cadere usanze e pratiche che non ci aiutano a vivere la libertà dello Spirito Santo; facciamo spazio in noi per contenere il vino nuovo: la gioia del Vangelo! Rivestiamoci dell’abito nuovo della festa per celebrare fin d’ora il dono di quella comunione che gusteremo pienamente al banchetto nel regno dei cieli!

sorella Lara della comunità monastica di Bose

Mt 9, 14-17
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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