Commento al Vangelo del 31 luglio 2018 – Monastero di Bose

Tra la parabola della zizzania e la sua spiegazione le differenze sono molte su ogni aspetto: i destinatari, l’ambientazione, il genere letterario, il problema. La parabola era rivolta alle folle, la spiegazione invece ai soli discepoli. L’ambiente della parabola era l’ampio orizzonte della spiaggia e del mare, mentre l’ambiente della spiegazione è lo spazio ristretto della casa.

La spiegazione ha trasformato il racconto parabolico in una allegoria, nella quale ogni personaggio e ogni tratto della parabola hanno il loro riscontro. Ma soprattutto si è spostato il centro della parabola. Il brano del vangelo di oggi con il suo forte accento apocalittico sul giudizio finale si discosta molto dalla parabola stessa, che è piuttosto una parabola della misericordia e della pazienza, prima del giudizio. Ma tra i due testi non vi è contraddizione. I toni minacciosi, apocalittici del giudizio che incombe su ogni carne non hanno il sopravvento della misericordia che è la legge con cui Dio guida il suo regno. I versetti della spiegazione sono un appello alla responsabilità personale. La comunità dei discepoli, dopo aver capito che bisogna avere comprensione con tutti: “non succeda che raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano” (Mt 13,29), avverte un problema: con questa “legge di libertà” (Gc 2,12) non si rischia il disimpegno? Se Dio perdona comunque, si può fare qualunque cosa, trascurando il suo precetto di amare? Chi pensa e agisce così, è un falso profeta, operatore di iniquità, privo del frutto del Regno (7,15-23). La misericordia è verso l’altro. Verso di sé ci vuole vigilanza e discernimento, giudizio e conversione continua.

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Grazia e libertà, dono e responsabilità, azione di Dio e dell’uomo, non vanno mai separati, tanto meno contrapposti: la grazia libera la libertà, il dono dà la capacità di rispondere, l’azione di Dio rende possibile quella dell’uomo. Noi “siamo” nella misura in cui liberamente rispondiamo al dono che abbiamo ricevuto. Gesù è il Figlio dell’uomo venuto a seminare la parola della misericordia: nel suo Regno, quello del Figlio, sono accolti tutti come sono, perché fratelli e sorelle. La comunità e ciascuno di noi è sempre insieme buon grano e zizzania: è il regno del Figlio, non ancora quello del Padre. Per entrare in questo bisogna essere grano buono: accettare con misericordia le zizzanie dell’altro, non le proprie.

Infine la parabola della zizzania è spiegata a quelli che sono “in casa”, nella comunità. Questa è esposta a due pericoli: diventare una setta di giusti che non ha misericordia verso gli altri, o una banda di immorali che imputa a sé la sua misericordia come propria impunità. La familiarità con il Signore e un confronto costante con quanto lui ha detto e fatto possono preservarci da questo duplice pericolo, ma non basta l’intimità di chi dice “Signore, Signore” è necessaria una costante vigilanza su di noi perché possiamo riconoscere e sradicare la zizzania da noi stessi.

sorella Beatrice della comunità monastica di Bose

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Mt 13, 36-43
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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